Le donne e la scrittura. Una relazione esistita da sempre, forse più antica dell’amore o della musica, forse più antica dell’universo stesso.

Se chiudiamo gli occhi, vediamo donne sempre. Donne che lottano, donne che soffrono, donne che amano. Emozioni, queste, che sempre sono state tramutate in parole. Le donne le conosciamo per ciò che sono riuscite a produrre, e per tutte quelle volte in cui non sono state capite.

Ci parla di questo Virginia Woolf, nel suo celebre saggio “Una stanza tutta per sé”, il cui tema è “Le donne il romanzo”. Un tema profondo quanto importante, la consapevolezza di poter essere donna sempre; saggio con cui ha inizio un percorso lungo secoli, fatto di donne che coprono uomini, donne che crescono, donne che scrivono. Semplicemente donne.

La nostra storia ha inizio nel 2300 a.C. circa, in Mesopotamia, luogo in cui nacque il primo poeta nella storia dell’umanità. Una donna. Il suo nome era Enkheduanna, principessa di sangue regale, sacerdotessa di uno dei più venerati santuari del Paese di Sumer, personalità di impegno politico. La sua più famosa opera poetica è “L’esaltazione di Inanna”, giunta a noi in oltre cinquanta diverse copie su tavolette cuneiformi, a dimostrazione della sua popolarità e diffusione negli ambienti scribali dei maggiori centri sumerici. In essa, è rievocato un evento drammatico della vita della sacerdotessa: la sua scacciata da Ur e il suo esilio. Il canto assume forme di inno e preghiera, invocando i grandi dèi per ottenere la sua liberazione.

Enkheduanna

Un inizio di scrittura, questo, che rappresenterà un vero punto di riferimento per le donne a venire, per tutte quelle anime alla ricerca di un foglio che le permetta di fuggire da crudeli realtà, e rifugiarsi in sogni e speranze.

Milioni di donne sono diventate nel mondo scrittrici, molte delle quali non hanno firmato le loro parole; ma poche di queste sono riuscite a fuoriuscire da quella scatola in cui erano rinchiuse e divenire chi conosciamo oggi.

Saffo, Erinna, Anite, Nosside, Isabella Morra, Loiuse Labé, sono solo alcune delle donne che hanno fatto della loro anima una vera e propria arte, anime nate in società impregnate di pregiudizi e che hanno dovuto lottare per difendere ciò che era la propria vita. In tutti i secoli, in tutte le umanità.

Virginia Woolf inizia il suo racconto dall’anno ‘700, periodo in cui una donna era costretta ad abbandonare ciò che amava, ciò che sognava, costretta a formare una famiglia e ad avere figli anziché scrivere, o dipingere, o amare.

Il primo personaggio del suo saggio è Aphra Behn, scrittrice e drammaturgo, il cui aspetto significativo del suo lavoro era il fenomeno della sua autonomia intellettuale, accompagnata dalla sua libertà di esprimersi, di pensare e di condividere con altre il proprio pensiero, la possibilità di rendere visibile l’intelligenza di una donna che, in quel momento, doveva essere reclusa e negata. Aphra è considerata la prima scrittrice “coraggiosa”, un esempio per le donne successive alla sua morte, nonostante sia stata in seguito censurata dagli uomini che richiedevano un proprio potere culturale.

Aphra Behn

In un’epoca in cui la vita di una donna era legata alle quattro mura di una casa, a continuare il testamento di Aphra Behn, fu la scrittrice Jane Austen. La donna scriveva seduta su un minuscolo tavolo, vicino alla finestra che si affacciava sui costanti passaggi dei familiari, degli ospiti e del personale domestico. <<Qualunque cosa lei scriva è compiuta e perfetta e calibrata. Jane Austen è padrona di emozioni ben più profonde di quanto appaia in superficie: ci guida ad immaginare quello che non dice. In lei vi sono tutte le qualità perenni della letteratura>>, afferma Virginia leggendo le opere della Austen. I suoi protagonisti sono ancora oggi indimenticabili perché ognuno sembra riflettere una sfumatura dell’animo umano, portandoci a scoprire un contrasto tra chi si deve e chi si vuole essere. Una società fatta di convenzioni che si misura continuamente con i misteri delle emozioni, bisognose di fuggire via e assaporare la libertà.

Jane Austen

Una libertà che fu ricercata anche negli anni seguenti quando, nell’Ottocento, tre sorelle davano libero sfogo ai loro pensieri, legate da parole. Furono le sorelle Bronte: Charlotte, Emily e Anne. Al contrario di altri scrittori, esse non ebbero come interesse primario lo studio della società, ma si dedicarono alla narrativa per esprimere passioni personali ed esplorare la sfera delle emozioni individuali. Pur non ricevendo una regolare istruzione, le tre donne fecero molte letture e lasciarono libero sfogo alla loro immaginazione scrivendo racconti e poesie in modo anonimo, per poter preservare la loro interiorità e il loro isolamento dalla società.

Sorelle Bronte

Fu solo dopo anni che vennero scoperte le autrici di alcune importanti opere ritrovate casualmente. Charlotte aveva scritto “Jane Eyre”, che racconta la vicenda di una povera orfana cresciuta fra grandi difficoltà e che diviene governante presso il ricco Mr Rocherster. Si innamora di lui e, dopo varie vicissitudini, riesce a sposarlo. Emily era stata la scrittrice di “Cime tempestose”, nel quale è espressa pienamente la qualità visionaria e poetica della sua immaginazione, tramutata nell’elemento essenziale della natura. Anne aveva invece scritto due romanzi che, basati entrambi su elementi autobiografici, rivelano una notevole padronanza della scrittura.

Tutte queste donne erano sedute, ogni giorno sulla riva di un fiume antico, mentre sguardi rivelatori erano rivolti verso la luce che si affacciava alla loro anima e le portava a scoprire sfumature di inconsci che credevano di non conoscere. E’ la luce di chi scrive.

Lontana, seduta sulla riva di un fiume antico, una donna scrive

Il suo nome è Virginia.

“Virginia Woolf” di Anna Maria Saponaro

Con la mente colma di pensieri e speranze, Virginia ha scritto sempre. Ha scritto anche quando il mondo appariva un’enorme scatola vuota; scriveva per riportare in vita ciò che moriva ogni giorno. Sentimenti perduti, libertà represse, donne disperse nella folla come anime che non conoscono una strada.

Nell’ottobre 1928, Virginia Woolf venne invitata a tenere due conferenze sul tema “Le donne e il romanzo”. Fu l’occasione per elaborare in maniera sistematica le sue riflessioni sull’universo femminile. Il risultato fu dunque un saggio che fu un vero e proprio manifesto sulla condizione femminile dalle origini ai nostri giorni, e che ripercorreva il rapporto donna – scrittura. Una riflessione, la sua, conclusa con queste parole:

Io credo che se viviamo ancora un altro secolo – parlo della vita comune, che è la vera vita, e non delle piccole vite isolate che ognuno di noi vive come individuo – e riusciamo ad avere cinquecento sterline l’anno, ognuna di noi, e una stanza propria; se abbiamo l’abitudine della libertà e il coraggio di scrivere esattamente ciò che pensiamo; se usciamo un attimo dalla stanza comune di soggiorno e vediamo gli esseri umani non sempre in relazione gli uni con gli altri ma in relazione con la realtà; e anche il cielo e gli alberi o ciò che si voglia; se guardiamo oltre lo spauracchio di Milton, poiché nessun essere umano ci può chiudere la visuale; se guardiamo in faccia il fatto, poiché si tratta di un fatto, che non c’è un solo braccio al quale appoggiarsi, ma che dobbiamo fare la nostra strada da sole e che dobbiamo essere in relazione con il mondo della realtà e non soltanto con il mondo degli uomini e delle donne, allora si presenterà finalmente l’opportunità, e quella poetessa morta, che era sorella di Shakespeare, ritornerà al corpo del quale tante volte ormai ha dovuto spogliarsi. Attingendo la sua vita dalla vita di quelle sconosciute che l’hanno preceduta, come prima di lei fece suo fratello, nascerà la poetessa. La possibilità tuttavia che ella possa nascere senza quella preparazione, senza quello sforzo da parte vostra, senza quella decisione che ci vuole perché una volta rinata ella possa vivere e scrivere il suo poema, è comunque da scartarsi, poiché ciò sarebbe assolutamente impossibile. Ma io sostengo che ella arriverà, se lavoriamo per lei; e che lavorare così, sia pur nella povertà e nell’oscurità, vale la pena

Virginia Woolf

Così sono seduta sulla riva di un fiume antico. Lontana da differenze di genere, lontane da stereotipi o pregiudizi, lontana da chi non capisce, da chi non sa. Lontana, seduta sulla riva di un fiume antico, sono una donna e scrivo.

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Le mie parole sono più antiche dell’amore o della musica, forse più antiche dell’universo stesso.

Ma sono qui, che mi guardano e mi dettano pensieri. Lontana da tutto, lontana da tutti, le prendo tra le mani e le lancio in aria. Volano… volano le parole, volano nei cieli più distanti, attraversando la luce di cui sono impregnate. Le donne del passato le guardano e sorridono; le parole hanno finalmente un senso.

Sono qui. Sono eterne.

Articolo a cura di Stefania Meneghella

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