Stefania Nosnan ritorna tra gli scaffali delle librerie con il suo nuovo libro ‘Il Patto delle Aquile‘ (Bonfirraro Editore): un romanzo storico, il suo, che riporta alla memoria i momenti fragili e difficili di un’epoca vissuta dai nostri nonni e mai dimenticata. La storia è infatti ambientata nel 1944 e – tratto da eventi realmente accaduti – l’autrice porta chi legge nella Seconda Guerra Mondiale. Parole semplici ma di grande impatto, che cercano in tutti i modi di riportare a galla la memoria e non solo: anche il tempo sbiadito, le fotografie ingiallite e tutto quello che non si riesce più a ricordare. Il tempo – per lei – ha un valore prezioso, e lo ha anche ciò che abbiamo vissuto con gli occhi di chi, quella guerra, l’ha vissuta davvero. Tra le colline friulane, ha così luogo una missione alleata segreta che deve mettere in accordo due brigate partigiane molto attive in quella zona. Il desiderio di andare oltre è quindi ben vivo tra quelle pagine, che rappresentano il coraggio, la forza, la tenacia e la sofferenza. Il lettore lo sente, e quasi riesce a toccare quella sensazione che entra nella sua pelle e non riesce a fuggire via.


Com’è nato il tuo primo approccio alla letteratura? Quando hai compreso che sarebbe stata la tua strada?

A dire il vero è nato molto tardi… il mio sogno nel cassetto era un altro. Ho iniziato scrivendo poesie; poi avevo una bella storia nel cassetto, una mia amica mi ha detto di provare a pubblicarla e così ho fatto. Ho avuto subito fortuna e sono stata pubblicata da Bertoni Editore. Dal 2016 non ho più smesso di scrivere.

Parliamo del tuo ultimo libro ‘Il Patto delle aquile’. Dove nasce l’idea per questo progetto?

Da una ricerca che feci per il mio primo romanzo La bicicletta nera edito Bertoni. Trovai delle notizie frammentate di questa missione alleata in terra friulana, così mi sono informata ed è nato il romanzo. Mi piace portare alla luce piccole azioni e, se sono state compiute nella mia regione, ancora meglio.

La storia è ambientata nella Seconda Guerra Mondiale: cos’ha rappresentato per te parlare di quel periodo molto difficile della storia?

Tenere vivo i racconti dei grandi vecchi che ormai stanno scomparendo, è come dire: “non bisogna dimenticare.” Se lo facciamo perdiamo un pezzo di noi stessi.

Qual è invece il tuo rapporto con il Friuli-Venezia Giulia? Com’è nata l’idea di ambientare la storia in questa meravigliosa regione italiana?

Come dico sempre sono friulana DOC, ma ahimè astemia. Amo la mia regione e come in tutte le relazioni c’è qualche piccolo conflitto. Ho anche vissuto per quasi dieci, bellissimi, anni nel Lazio, ai Castelli Romani. Ho molti amici e torno spesso, anche per lavoro, a trovarli.

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Il tuo stile è molto originale, ma cosa c’è dietro tutto questo? Chi sono stati i tuoi maestri letterari?

Mi hanno detto che ho uno stile semplice ed è così che mi piace, perché il mio intento è quello di far innamorare i giovani alla storia. Se uso parole troppo ricercate o tecniche i ragazzi si stufano e chiudono il romanzo. Noi italiani abbiamo un passato importante ed è giusto che le nuove generazioni lo conoscano, parlo anche da nonna quale sono.

Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?

Dall’anno scorso sono in scrittura con un altro romanzo storico ambientato durante la Prima Guerra mondiale. Dopo Una salita per amore – Donne al fronte mi cimento nuovamente con questo periodo. Spero solo di finirlo, perché il lavoro mi impegna molto e il romanzo storico richiede molta ricerca.  

Intervista a cura di Stefania Meneghella

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