Giorgio Santelli ha aperto le porte delle librerie italiane con il romanzo ‘Sotto le ceneri‘ (Santelli Editore). Dopo numerosi saggi alle spalle, il giornalista Rai si è infatti cimentato con una storia dal genere giallo e ambientata negli anni Ottanta e Novanta. Il protagonista è Matteo Sabelli, un cronista che si trova a dover affrontare due fatti di cronaca realmente accaduti in quegli anni: il caso sulle ceneri Enel di La Spezia e un incidente stradale avvenuto sull’autostrada del Sole all’altezza di Allerona Scalo, tra i caselli di Orvieto e Fabro. Una storia che racconta molto di più di quello che si legge, e che va oltre i confini della verità. Con questo libro, Santelli convince migliaia di lettori e li rende protagonisti di un vissuto profondo ed enigmatico.


Com’è nato il tuo primo approccio alla scrittura? Quando hai scoperto che sarebbe stata la tua strada?

Da piccolo, fin dai banchi di scuola sognavo di fare il giornalista. Alle scuole medie in particolare ho iniziato a scrivere qualcosa, e mi piaceva. C’era una mia professoressa in particolare che mi ha spronato. Infatti con lei ho ancora contatti, perché la vedo come la persona che mi ha instradato.

Parliamo del tuo ultimo libro Sotto le ceneri: dove nasce l’idea per questo romanzo?

Nasce in campo giornalistico. Lavoravo al Corriere dell’Umbria come corrispondente locale. Era un’estate molto calda in cui dovevo riempire due pagine di giornale, nonostante di notizie ce ne fossero poche. Una mattina, tentando di trovare qualcosa su cui scrivere, ero sull’autostrada e mi sono imbattuto in una discussione tra alcuni camionisti che parlavano di un fantomatico fantasma. Così mi viene l’idea di provare a trasformare una leggenda metropolitana in qualcosa di diverso. Scrissi questo pezzo in cui raccontai la storia di due giovani sposi morti sulla A1. Dopo questo pezzo sul fantasma fui incoraggiato a continuare a scrivere di questa storia, cosa che feci per tutta l’estate. Poi con la vera inchiesta delle ceneri mi è venuta l’idea di mischiare i fatti con questa leggenda metropolitana, creando così la storia per il romanzo.

La storia inizia basandosi su due fatti di cronaca realmente accaduti: le ceneri Enel e un incidente stradale in cui persero la vita due sposi. Come mai ha deciso di partire proprio da questi due tristi avvenimenti?

I due eventi sono sicuramente diversi. L’idea di inserire l’incidente sulla A1 deriva dalla presenza nella vera inchiesta di una strana azienda che gestiva i trasporti delle ceneri da La Spezia all’Umbria. Era davvero un’azienda strana perché era nata all’improvviso, gestita da un individuo strano chiamato Quinto Matto. La cosa strana è che, mentre lavoravamo sull’inchiesta, scoprimmo che questa società aveva la sede negli stessi locali degli uffici nazionali del Partito Socialista. Dobbiamo ricordare poi che quest’inchiesta nasce prima di Tangentopoli, prima ancora dell’intervista di Mario Chiesa. Per quel che riguarda l’incidente, c’è una particolare area di sosta quasi spettrale, da cui nasce la leggenda del fantasma. C’è inoltre un elemento in più: alla fine del 2020, su richiesta del Consiglio regionale umbro, a Città della Pieve (dove erano state sversate le ceneri) si è disposta la bonifica dell’area. Questo chiaramente fa pensare che c’è davvero qualcosa che non va, ma purtroppo l’inchiesta non ha ancora avuto una fine.

Il romanzo è ambientato tra gli anni Ottanta e Novanta: cos’ha rappresentato per te quel periodo storico? Qual è il tuo miglior ricordo di quegli anni?

Il mio ricordo più bello è l’inizio del mio lavoro. Ero a Milano e mi arriva una chiamata da una consociata di Radio Popolare di Milano. Questi sono i ricordi più belli: iniziare a scrivere qualcosa, iniziare a leggere in radio, lavorare come giornalista era quello che volevo. Iniziai ad affrontare anche temi importanti come le prime giunte rossoverdi, ci fu il disastro di Chernobyl, che fu una delle prime cose che seguii in prima persona quasi 24 ore al giorno.

Il protagonista della storia è Matteo Sabelli: com’è stato costruire questo personaggio e cosa ti ha insegnato lui più di tutto?

È stata la sintesi di quello che secondo me è l’aspetto della professione giornalistica che in tanti vogliono fare, ma non è un giornalista privilegiato che lavora per un’azienda importante, ma metteva insieme tanti lavori per riuscire ad affermarsi come professionista. Consumavano le suole delle scarpe per trovare delle storie da raccontare. Voglio raccontare quel genere di giornalista che non ha la fortuna di avere uno studio legale alle spalle a tutelarlo in caso di querela, o che non ha nessuno che lo difenda se dovesse ricevere delle intimidazioni.

Cosa c’è dietro il tuo stile giornalistico? Chi sono stati i tuoi maestri letterari?

Questo è un problema, perché identificare un maestro è problematico. Il mio mito assoluto è Andrea Camilleri: ho avuto la fortuna di collaborare con lui per dei lavori che abbiamo fatto insieme in Rai, ma non posso dire che è stato il mio maestro, perché non ho diritto di affermare questo. Credo che la scrittura nasca da dentro di noi, è qualcosa che viene dall’interno. Ci sono sicuramente tanti maestri, che sono tutti gli autori di tutti i libri che ho letto finora e che continuerò a leggere.

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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?

Questa è una cosa buffa: finora avevo scritto solo saggi, per cui non avevo voglia di contattare Feltrinelli con cui avevo collaborato anche per il romanzo. Così ho iniziato a mandare il romanzo a pioggia a tanti editori finché non ho trovato un editore col mio stesso nome. Eugenio Santelli mi ha chiamato scherzando sul fatto che abbiamo lo stesso cognome, e da lì abbiamo iniziato la nostra collaborazione. Per quel che riguarda i futuri progetti, virano sulla saggistica, sul tema della pandemia e della guerra e sullo strano periodo che stiamo tutti affrontando. Ci sto lavorando con Giovanni Belfiori, il direttore del Festival della saggistica di Fano. Mi sono arrivate anche delle richieste per proseguire la carriera da romanziere, ma sto cercando di capire come muovermi.

Intervista a cura di Stefania Meneghella

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