Dal 23 giugno al 21 luglio, si è tenuto l’Ahymé Festival: si tratta di un festival interculturale dedicato alla musica internazionale che è stato ideato dall’artista, musicista e autore Bessou Gnaly Woh. E’ inoltre un evento basato sulla condivisione in cui la musica ha un ruolo importantissimo, in quanto ha la capacità di essere uno strumento di dialogo tra popoli e una forma d’espressione che unisce le diverse culture. A parlarcene è Giovanni Amighetti, il coordinatore musicale.


Fino al 21 luglio, si sta tenendo l’Ahymé Festival dedicato alla musica internazionale: quali erano le vostre aspettative iniziali e qual è stata la reazione del pubblico?

Il progetto è nato nel 2019, da un’idea mia e di Bessou Gnaly Woh (Presidente dell’Associazione “Colori dell’Africa – APS“). Aveva inizialmente lo scopo di far conoscere musiche da varie parti nel mondo, e di creare interazioni tra musicisti. Poi c’è stato il covid, ed è diventato un Festival trasmesso in streaming: abbiamo chiamato musicisti prettamente italiani come Franco Mussida. Questo è stato il primo anno in cui il Festival ha visto una riapertura: lo scopo è quello di far vedere i vari aspetti della musica a un pubblico più ampio. Ha funzionato molto bene in alcuni aspetti, soprattutto a Parma. E’ stata infatti inserita musica simpatica, ma anche nuove sperimentazioni.

Dove nasce invece l’idea per questo Festival? Qual è il messaggio principale che vuole trasmettere?

Con la musica si può comunicare; la musica è una delle prime fonti di comunicazioni tra i popoli che provengono da diverse aree culturali e geografiche. Il pubblico si rende partecipe di questa interazione tra musicisti ed è molto felice di questo progetto.

Il tema principale è la condivisione tra culture diverse: nell’ambito musicale, c’è un elemento in particolare che accomuna tutti i Paesi del mondo?

La musica è come una lingua, ed è in grado di comunicare qualcosa di emozionale. Grazie alle note e ai ritmi, si riesce ad emozionare persone che non parlano la stessa lingua e che provengono da culture differenti. Il suono diventa in primis una lingua che può essere usata da tutti.

Com’è avvenuto l’incontro con questo Festival? Ci sono state delle difficoltà nell’assumere il ruolo di coordinatore musicale?

Io realizzo questa professione dal 1991/92; all’epoca collaboravo con una casa discografica molto nota. Essere il coordinatore del Festival è stato molto simile, e ho sempre tenuto una certa linea. Penso che sia importante essere coerenti, soprattutto grazie all’esperienza e ai contatti pregressi. Ho trovato delle difficoltà nel periodo del Covid: abbiamo cercato altri modi di tenere vivo il Festival. Quello che stiamo notando è che le persone hanno voglia di spettacoli live.

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Quali sono i vostri futuri progetti? Potete anticiparci qualcosa?

Ci sarà un focus sulla produzione musicale; abbiamo inoltre fatto un’anteprima con l’Orchestra Filarmonica. Il Festival creerà dunque produzioni proprie e le porterà in giro. Ci sarà infine un focus sul ballo, e sulla musica che è collegata alla danza.

Intervista a cura di Stefania Meneghella

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