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Roman Space Telescope: due astrofisici della NASA rispondono alle nostre domande

Dominic Benford and Sangeeta Malhotra Dominic Benford and Sangeeta Malhotra
Dominic Benford and Sangeeta Malhotra - kosmomagazine.it

Hanno accettato di incontrarci due esperti NASA (NASA’s Goddard Space Flight Center), che stanno lavorando al nuovo telescopio spaziale “Nancy Grace Roman Space Telescope”, creato per rispondere alle domande sull’energia oscura e sugli esopianeti (i pianeti che orbitano attorno ad altre stelle). Il telescopio Roman avrà uno specchio primario di 2,4 metri di diametro, capace di monitorare 100 milioni di Stelle per scovare circa 2500 pianeti. Il lancio è previsto nel 2027.

A rispondere alle nostre domande sono stati Dominic Benford (astrofisico del “Roman program”) e Sangeeta Malhotra (vice scienziata del “Roman program”).


Cosa può dirci di più sull’energia oscura il “Roman Space Telescope” rispetto ai telescopi precedenti? Riusciremo a “vederla”?

L’energia oscura è un aspetto fondamentale dell’Universo, e possiamo rilevarla indirettamente, osservando come essa cambia l’Universo. Sembra essere una proprietà dello spazio e del tempo, la quale esercita una pressione sullo Spazio, affinché possa espanderlo. Il Nancy Grace Roman Space Telescope studierà come l’energia oscura fa espandere lo Spazio, come mantiene la materia al suo interno e come le galassie riescono a rimanere separate. Lo farà guardando attraverso l’Universo, e indietro nel tempo di oltre 10 miliardi di anni. Al momento, nemmeno i potenti telescopi come Hubble sono in grado di misurare lo stesso volume di Universo che sarà in grado di misurare Roman. Quindi, mentre Roman utilizzerà tecniche che sono state sperimentate da altri osservatori, migliorerà la precedente tecnologia all’avanguardia di circa un centinaio di volte. Roman non “vedrà” l’energia oscura (nel senso che non possiamo fotografarla), ma effettuerà misurazioni degli effetti dell’energia oscura, che saranno così precise che gli astronomi saranno in grado di fare grandi progressi nel capire cosa sia.

Osservando le galassie, magari con l’aiuto del “James Webb Space Telescope”, che potrà vedere le prime galassie nate 13,5 miliardi di anni fa, si potrebbe riuscire a capire la forma dell’Universo, e dove sta andando? Unendo ciò che vedrà il “Roman Space Telescope” con ciò che vedrà il “James Webb Space Telescope”.

Webb è progettato per avere la sensibilità e gli strumenti a infrarossi necessari per studiare le primissime galassie. Roman, con il suo ampio campo visivo e la rapida capacità di imaging a infrarossi, sarà in grado di rilevare ampie aree di Spazio lontane per trovare potenziali galassie molto giovani, che Webb potrà studiare nel dettaglio. Attualmente, conosciamo solo una manciata di queste galassie, nate quando l’Universo aveva solo poche centinaia di milioni di anni. Roman sarà in grado di aumentare il numero di galassie conosciute, arrivando a scrutarne fino ad alcune migliaia. Inoltre, dovrebbe essere in grado di sondare vaste aree, per trovare siti in cui si stanno formando le prime galassie, affinché Webb possa studiarle in modo più dettagliato. Insieme, Roman e Webb potranno aprire una nuova epoca nella storia dell’Universo e aiutarci a capire come erano le prime stelle e galassie.

Sfruttando la teoria della Relatività di Albert Einstein, fino a che punto può spingersi “l’occhio” del telescopio Roman per vedere nuovi esopianeti? Sarà in grado di vedere esopianeti a più di 500 anni luce di distanza?

Il “Wide Field Instrument” di Roman, una fotocamera a infrarossi da 300 megapixel, ci consentirà anche di cercare esopianeti, che orbitano attorno alle stelle della nostra galassia. Se puntiamo verso il centro della galassia, possiamo osservare costantemente centinaia di milioni di stelle, per scrutare e carpire qualsiasi segno rivelatore, che indichi la presenza di un pianeta in orbita attorno a loro. La tecnica principale che Roman utilizzerà si basa su un aspetto della Teoria della Relatività di Einstein, secondo cui la materia curva lo spazio-tempo, piegando anche la luce. La tecnica che utilizzeremo per scovare gli esopianeti si chiama “Microlensing“. Come funziona? La luce viaggia in linea retta, ma se lo spazio-tempo è piegato – cosa che accade vicino a qualcosa di massiccio, come una stella – la luce segue la curva, creata dalla massa della stella stessa, la quale “piega” lo spazio-tempo (il tessuto spaziotemporale su cui “poggiano” le stelle e i pianeti). Ogni volta che due stelle si allineano dal nostro punto di osservazione, la luce della stella più distante curva mentre viaggia attraverso lo spazio-tempo deformato attorno alla stella più vicina.
Quest’ultima si comporta come una lente cosmica naturale, ingrandendo la luce della stella sullo sfondo e, soprattutto, ingrandendo anche i pianeti che vi orbitano attorno. In questo modo è possibile vedere gli esopianeti distanti anni luce da noi (è un pò come quando un bicchiere pieno d’acqua diventa una “lente d’ingrandimento“; nel nostro caso la “lente d’ingrandimento” è creata dalla deformazione dello spazio-tempo). Osservando tante stelle, grazie al telescopio Roman, gli astronomi prevedono di vedere migliaia di questi eventi. Ciascuno dei pianeti in orbita attorno alla stella in primo piano illuminerà anche la stella sullo sfondo, anche se in misura minore e per un tempo più breve – meno di un’ora per un pianeta come Marte! Quindi Roman osserverà queste stelle continuamente per molti mesi in modo da trovare questi rari segnali. La maggior parte delle stelle che vediamo in questo modo, e gli esopianeti che li circondano, saranno a molte migliaia di anni luce di distanza e in una direzione in cui le stelle nella nostra galassia sono più vecchie. Questo può aiutare gli astronomi a capire se la formazione dei pianeti era diversa miliardi di anni fa rispetto a oggi.

Exoplanet Transits in the Milky Way. Credit: NASA

Sfruttando ancora una volta la Relatività di Albert Einstein, e potendo vedere, grazie ad essa, come le galassie curvano lo spazio-tempo e, a loro volta, come piegano la luce, che passa accanto a loro, potremmo scoprire l’esatta posizione della materia oscura? E forse, confrontare la materia oscura con le “placche tettoniche” della Terra?

Una delle principali indagini che Roman intraprenderà sarà una campagna per acquisire immagini precise di centinaia di milioni di galassie sparse nell’Universo, al fine di capire come la materia si sia fusa nel tempo cosmico per formare le galassie, gli ammassi di galassie e i superammassi che vediamo oggi intorno a noi. La Teoria della Relatività di Einstein ci dice che la materia curva lo spazio-tempo e quindi piega la luce. La luce delle galassie più lontane è piegata da tutte le galassie che incontra durante il percorso, attraverso i miliardi di anni di viaggio, e così quando arriva a noi, vediamo l’immagine di queste galassie con distorsioni molto lievi. Attraverso un’attenta analisi delle milioni di immagini distorte, gli astronomi possono ricostruire la posizione di tutta la materia, situata vicino a noi o a grandi distanze. Mentre ciò che vediamo con i nostri telescopi sono singoli oggetti come le galassie, la maggior parte della massa è sotto forma di materia oscura, che costituisce circa l’85% della massa totale dell’Universo. Le galassie visibili tendono ad accumularsi dove la Materia Oscura è più concentrata, ma ci sono vasti filamenti di essa che attraversano l’Universo come una ragnatela gigante. Roman sarà in grado di misurare questa rete invisibile di Materia Oscura e tracciare come è cambiata nel corso di miliardi di anni, mentre si fonde lentamente a causa della sua stessa gravità. Questo movimento è ciò che dà origine alle galassie e agli ammassi, che vediamo formarsi dove la Materia Oscura si è scontrata con se stessa, proprio come possiamo vedere oggi l’Himalaya, il quale è il risultato dello scontro tra le placche tettoniche indiana ed eurasiatica.

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La storia ci ha insegnato che la memoria è la base su cui progettare il futuro. L’Universo ci dà lo stesso insegnamento: i telescopi sono gli strumenti degli “archeologi spaziali”, che devono guardare al passato per capire come sarà il futuro. Quanto sono importanti quei tesori archeologici distanti miliardi di anni luce da noi esseri umani del presente?

L’astronomia è, sin dall’antichità, una scienza sulla comprensione del nostro posto nell’Universo sia nello spazio che nel tempo. I movimenti dei pianeti, delle costellazioni e della Luna sono stati usati per formare la base per i calendari, la pianificazione agricola e le feste religiose sin dalla preistoria. Nel corso dell’ultimo secolo gli astronomi hanno esteso la portata dell’astronomia indietro nel tempo, a causa della velocità della luce. Poiché la luce proveniente da oggetti sempre più distanti impiega sempre più tempo ad arrivare qui, più un oggetto è lontano, più vecchia è la luce che vediamo. Ora sappiamo che l’Universo si è espanso dall’inizio dello spazio e del tempo circa 13,8 miliardi di anni fa. Gli astronomi che utilizzano il telescopio spaziale Hubble hanno trovato galassie abbastanza lontane che la luce ha iniziato a viaggiare verso di noi 13,4 miliardi di anni fa. Webb spingerà ulteriormente indietro questo limite. Roman estenderà la portata a un’età simile, per coprire sempre più galassie che mai. In questo modo, gli astronomi studieranno le galassie come gli archeologi che scoprono la ceramica. Ognuno è unico, ma ognuno fornisce indizi su ciò che era generalmente vero in un determinato luogo nello spazio e nel tempo. Comprendere questo ci dirà come l’Universo attuale, le stelle, il Sole, i pianeti intorno a noi e la nostra stessa Terra, sono diventati come sono. Queste osservazioni fanno parte della base della conoscenza che ci dirà quale sarà il futuro del nostro pianeta e se la vita può esistere altrove nel cosmo.

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