Giangilberto Monti ha pubblicato il suo nuovo disco che, collegato al suo omonimo libro, si intitola ‘Françalien‘. Il suo è un viaggio verso la musica francese e il repertorio degli chansonnier più amati, che hanno dato un grande contributo anche al panorama musicale italiano. L’artista ce ne ha parlato in questa intervista.


Parliamo del tuo nuovo album e libro Françalien: gli anni d’oro della canzone francese. Dove nasce l’idea per questo progetto?

Ho iniziato a lavorare sulla canzone francese 25 anni fa, quando sono rimasto affascinato da una figura: Boris Vian. Era un artista francese che, negli anni ’50, ha lasciato un segno nella cultura musicale francese. Da noi è conosciuto per la canzone Il Disertore: è un personaggio a tutto tondo, mi sono affascinato alla sua produzione musicale e letteraria, e ho iniziato così a studiare l’aspetto musicale della sua musica. Da lì la cosa si è allargata, e ho studiato l’influenza che ha avuto la canzone francese sulla canzone italiana. Negli anni ho pubblicato dischi e spettacoli su questo: mi piaceva fare una sorta di punto e a capo di questo mondo. Ho quindi pensato – con questo libro e questo lavoro – di affrontare il fenomeno più popolare, ossia di parlare dei cantanti francesi che da noi non erano molto conosciuti in quel periodo. Il libro è stato pubblicato anche in Francia e, grazie al QR code, il mio lavoro rimanda a un mondo che è ormai diventato planetario.

Quale influenza ha dato la musica francese su quella italiana? Quanto è cambiata l’Italia dopo il suo ingresso nel nostro territorio?

Ci hanno insegnato a scrivere i testi: tutto ciò che è il cantautorato italiano arriva da lì. Parlo ad esempio di De André e Tenco. E’ poi arrivata la musica anglosassone che ha cambiato un po’ lo stile: la musica francese ha influenzato gran parte della musicalità dei nostri interpreti. La musica italiana era invece – in quel periodo – una musica di intrattenimento, e c’erano pochi incroci tra il mondo poetico e letterario. I francesi hanno invece portato la poesia nelle canzoni, e sono stati anche sperimentatori di ritmi diversi. Il mondo francese porta infatti dei ritmi che sono ritmi contaminati e, quello che più mi ha colpito, è che molti di questi cantanti francesi hanno origini italiane. C’è infatti un grandissimo rapporto tra le due culture.

La Francia è sicuramente la protagonista di questo tuo lavoro: cos’ha rappresento per te il territorio francese e quanto ha influito sulla tua musica?

Ho imparato molto da loro, ed è stata per me un’ispirazione. Mi sono ispirato non solo a questo: quando lavoravo con Dario Fo, ho appreso molto della sua gestualità. E’ un mondo complesso e interessante: non ci sono grandi confini tra cantanti, attori e ballerini. Sono inoltre rimasto sempre molto colpito da Renaud, che io considero una specie di Guccini Rock: lui ha la mia stessa età e, ad un certo punto, è scomparso dalle scene. Tutti i rapper giovani hanno poi deciso di cantare i suoi brani con delle rivisitazioni, ed è ritornato – dopo molti anni – alla ribalta.

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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?

Adesso sono concentrato su questo; un progetto ce l’avrei ma preferisco parlarne in seguito. Il mio desiderio è sicuramente quello di chiudere la carriera con un disco.

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