Alessandro Bertante ha alle spalle una lunga carriera e un percorso letterario di tutto rispetto: il suo nuovo libro si chiama Mordi e Fuggi (Baldini+Castoldi), e tratta uno dei periodi più drammatici della storia italiana. Bertante ha deciso infatti di raccontare i fatti che accaddero durante la tragica stagione degli anni di piombo. La sua opera letteraria è stata recentemente selezionata come uno dei dodici finalisti del Premio Strega 2022.


Come nasce il suo primo approccio alla scrittura? Quando ha compreso che sarebbe stata la sua strada?

Tanti anni fa, era il periodo universitario. Sono sempre stato un grande lettore, anche se all’inizio mancava la passione per la scrittura: ho iniziato a leggere gli autori russi (soprattutto Dostoevskij), per poi approfondire la letteratura. Poi ho iniziato a scrivere i primi racconti e fondai una rivista, grazie a cui fui notato da una rivista underground che mi ha portato a scrivere i miei primi romanzi.

Parliamo del suo libro Mordi e fuggi, una storia che racconta una fase importante della storia italiana: il brigatismo. Come nasce l’idea di tornarne indietro nel passato e di parlare di quel periodo difficile?

Ci sono due ragioni: una è legata al periodo, perché la mia tesi di laurea in Storia l’ho fatta proprio su quel periodo degli anni Settanta; l’altra ragione è invece dovuta ad un cortocircuito autobiografico perché, attraverso i miei studi, ho scoperto che il primo collettivo politico metropolitano da cui sono nate le Brigate Rosse è nato a cento metri da casa mia. Mi è sembrato un segno del destino.

Il protagonista è Alberto Boscolo, un giovane che assiste attivamente a tutto quello che sta accadendo intorno. Cosa c’è dietro la costruzione del suo personaggio? Cosa le ha lasciato lui più di tutto?

Racconto la storia in prima persona, perché trovo che raccontarla in terza persona sarebbe stato pericoloso considerando il periodo trattato. La cronaca mi ha dato una mano, perché due brigatisti del collettivo storico fondatore delle Brigate Rosse non sono mai stati identificati. Allora immagino che uno di queste due persone racconti la storia della nascita del collettivo ed in particolare dei primi tre anni, che sono legati soprattutto a Milano. Sono anni particolari, perché sono anni in cui le Brigate Rosse non sparano, ma fanno gesti esemplari e simbolici; di conseguenza hanno più seguito anche tra gli operai.

Cosa le ha insegnato quella parte drammatica della nostra storia? Studiarla è stato come vivere in quel periodo?

La mia è una grande domanda: quali potessero essere i motivi che potrebbero spingere un ventenne con tutta la vita davanti a fare una scelta così radicale? Volevo capire quali fossero queste motivazioni così forti e da dove arrivassero.

Il suo libro è candidato al Premio Strega. Quali sono le sue aspettative in merito a questa candidatura?

Sono già stato in finale per il premio Strega e il premio Campiello. C’erano 75 candidati, ma era un obiettivo in cui credevo davvero, che quasi mi aspettavo, considerando la mia storia professionale e la mia carriera. Sono contento che abbiano scelto il mio libro, anche considerando l’importanza del tema trattato.

Ci sono futuri progetti in ballo? Può anticiparci qualcosa?

Onestamente no; ho appena finito questo libro e ora mi sto dedicando solo alla sua promozione.

Intervista a cura di Stefania Meneghella

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