Abbiamo conosciuto Valeria Raciti – tra il 2018 e il 2019 – nel seguitissimo talent show culinario Masterchef: fu proprio lei a vincere e a conquistare l’affetto di migliaia di persone in tutta Italia. Da allora, non si è più fermata. Oggi è una libera professionista, lavora come personal chef, food influencer, partecipa ad eventi e cooking show in giro per l’Italia ed il mondo. Ha così accettato di incontrarci e ci ha raccontato la sua vita tra presente e futuro.


Come nasce il tuo primo approccio alla cucina? Quando hai scoperto che sarebbe stata la tua strada?

Credo di essere “nata” in cucina. Non ricordo un momento di vera e propria iniziazione. Ho il vivido ricordo di quando ero piccola, in piedi su una sedia, mentre osservavo incantata la nonna cucinare. Una delle mie prime preparazioni sono stati dei biscotti, direi improponibili, fatti con acqua, zucchero e farina,cotti nello scalda nastrine Mulino Bianco. Sono sempre stata attratta dalla cucina, è sempre stato il mio posto, e ci sonocresciutadentro. Ciononostante, ho scoperto che sarebbe potuta diventare la mia strada e avrei potuto farne un lavoro solo dopo la partecipazione a Masterchef. In quel momento, ho preso coscienza che avevo le capacità per fare della mia passione una professione e che in cuor mio l’avevo sempre desiderato.

Hai vinto l’ottava edizione di Masterchef: cosa ricordi più di tutto di quella esperienza e cosa è cambiato da allora?

Credo che mi rimarrà impresso a lungo ogni singolo momento vissuto all’interno della cucina di Masterchef: l’adrenalina, l’intensità di coinvolgimento emotivo e fisico. È stato un percorso di grande cambiamento e presa di coscienza personale, una transizione che mi ha cambiato la vita a 30 anni suonati. Sono entrata in quella cucina provata da un periodo personale molto difficile, ne sono uscita “nuova e vittoriosa. Perciò sono gelosa di ogni singolo ricordo, ogni singola conquista, ogni singola nozione imparata. Va da sé che il momento più bello in assoluto è stato quello della vittoria, la proclamazione del mio nome, l’urlo di Chef Cannavacciuolo. Ancora oggi ripensandoci ho la pelle d’oca. Da allora è cambiato tutto, perché quell’esperienza mi ha fatto capire che era possibile realizzare tutto ciò che in cuor mio desideravo. All’epoca volevo cambiare tante cose, in primis la consapevolezza di me stessa. Sono uscita più forte, ma nel rapporto con gli altri non sono cambiata, e infatti tutti mi dicono che sono rimasta sempre la stessa. Questo mi fa capire che sono stata brava a conservare la semplicità e l’autenticità del mio carattere.

Oggi lavori per la cucina a 360°: sei una personal chef, una food influencer e partecipi ad eventi e cooking show in tutta Italia e nel mondo. Ti saresti mai aspettata questi risultati? Quale ritieni che sia la parte più bella del tuo lavoro?

No, non ho mai avuto aspettative di alcun genere, se non quelle strettamente connesse a ciò che desideravo; pertanto, tutto ciò che ne è conseguito è stato inaspettato e bellissimo. Ciò per cui sono maggiormente grata è l’affetto e la stima che quotidianamente ricevo e che è la mia più grande carica e conquista.

C’è un piatto di cui non faresti a meno? E uno a cui rinunceresti volentieri?

Non farei mai a meno dei piatti di famiglia, quelli a cui sono sempre stata legata, come la norma piccante di mia nonna Maria. Ad oggi non rinuncerei a nessun piatto, ogni cosa assaggiata, anche quella più sgradevole ha contribuito a rimpolpare la mia “memoria” del gusto, e a rendere il mio palato quello che è.

Hai origini siciliane: come definiresti la cucina della tua regione? Quali sono le sue caratterizzazioni?

Amo mangiare e far mangiare la Sicilia. Trovo la cucina siciliana talmente intensa e sincera. Espressione evidente di quanto possa essere straordinaria la semplicità, anche se il gusto siciliano può sembrare al pubblico generalista e un po’ barocco.

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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?

Beh, sicuramente continuerò a passare molto tempo in cucina …e presto mi auguro sarà nella cucina del mio ristorante.

Intervista a cura di Stefania Meneghella

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