Ph. Maurizio Camagna

Valentina Olivastri è ritornata nella scena letteraria con un nuovo romanzo: “L’album di famiglia” rispecchia in pieno la sua essenza di donna e scrittrice. Originaria di Cortona, vive oggi a Oxford (Gran Bretagna) e ha lavorato per oltre venti anni presso la Biblioteca Bodleiana dell’Università di Oxford. Ha inoltre collaborato per il quotidiano britannico The Guardian, e ha curato gli apparati critici delle ristampe degli Oscar Mondadori.

Con all’attivo già due romanzi e alcuni racconti pubblicati, il suo terzo libro parla in primis della bellezza della sua Terra: la Toscana. Lo stile è semplice, significativo e introspettivo: sfogliando le sue pagine, sembra quasi di immergersi profondamente e totalmente nel suo mondo fatto di natura e di respiri. L’autrice ha accettato di incontrarci e ci ha parlato dei suoi sogni e dei suoi progetti fatti a misura di pagine.


Come è avvenuto il tuo primo approccio alla scrittura? Quando hai compreso che sarebbe stata la tua strada?

Ho sempre avuto una spiccata immaginazione e fin da piccola creavo storie e soprattuto le vedevo come un susseguirsi di immagini. Penso di aver iniziato a scrivere per fissarle e poterle ripercorrere sulla carta a mio piacimento. Ho scritto per giornali, pubblicato in riviste accademiche, creato racconti e romanzi. Quando si scrive e non ci si accorge delle ore trascorse alla scrivania è un buon segno: le cose stanno finalmente andando per il verso giusto!

Sei originaria di Cortona ma adesso vivi a Oxford e hai lavorato presso la Biblioteca Bodleiana dell’Università di Oxford. Come hai vissuto il cambiamento e come è l’ambiente letterario nel Regno Unito?

Prima di trasferirmi a Oxford, ho vissuto a Londra per oltre dieci anni. Ho avvertito un forte cambiamento soprattutto quando da Londra mi sono trasferita a Oxford. La capitale britannica è un mosaico colorato, smagliante, costituito da tantissime realtà fra loro straordinariamente eterogenee per una serie altrettanto straordinaria di ragioni: etniche, culturali, linguistiche, solo per menzionarne alcune. Oxford è invece un posto diviso essenzialmente in due: town and gown, vale a dire l’università e il resto della città. Nonostante vi siano studenti e docenti di nazionalità differenti, non si avverte l’aria cosmopolita che contrassegna Londra. L’ambiente letterario è ricco e diversificato; da alcuni anni a questa parte, numerosissimi sono i festival di letteratura tra cui vorrei ricordare quello di letteratura italiana organizzato da Marco Mancassola. I giornali, in particolare al fine settimana, dedicano inoltre ampio spazio ai libri. Rispetto all’Italia, però, nel campo delle pubblicazioni si trova un numero minore di testi in traduzione. Ad esempio se sei interessato ad autori giapponesi, hai molte più possibilità di trovare i loro lavori tradotti in italiano o in francese che non in inglese.

Ph. Stephen Chapman

Parliamo del tuo ultimo libro L’album di famiglia: possiamo dire che è un ritorno alle tue origini. Cosa rappresenta per te la Toscana?

La Toscana è memoria, nostalgia, un senso di consolazione: è la mia infanzia, le prime gocce di libertà assaporate con un’amica sul sellino di un motorino, il luogo dove ho mosso i primi passi di giovane donna; rappresenta la bellezza: penso alla fluidità del paesaggio, agli azzurri e ai verdi che fanno sentire la presenza dell’aria, alla luce che si accende e si stempera sul selciato di una piazza, al rintocco di una campana. È la lingua madre che ho studiato, più tardi, su testi rinascimentali dove di tanto in tanto riaffioravano aggettivi, espressioni che sentivo fin da piccola. Una conversazione mai interrotta.

Dove nasce l’idea per questo romanzo? C’è un messaggio in particolare che vorresti trasmettere?

Nasce da due immagini ben precise: la vista che si gode da Radicondoli, un magnifico paese nel Senese, e un brevissimo tratto di strada a Cortona che conduce al di là di una porta medievale. Il libro è incentrato sulla riscoperta del borgo, sull’importanza di vivere il tempo non come assillo ma come uno spazio da abitare e fare proprio: un’esistenza a lenta maturazione.

Opera di Paolo Gheri

Hai all’attivo numerose esperienze in ambito letterario: c’è una in particolare che vorresti trasmettere?

Essere onnivori nella lettura. Non importa se lenti ma aspirare a diventare lettori infaticabili.

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Ci sono futuri progetti in ballo? Puoi anticiparci qualcosa?

Ho un libro scritto in inglese come il primo – Prohibita Imago (Mondadori): è una storia divertente e sbarazzina; ha per protagonista un’adolescente, Daisy Tempest, che adora i dolci, i films di Doris Day e che si innamora pazzamente di un philosophe parigino con risvolti sorprendenti. L’album di famiglia è il primo di una serie e ho già in mente il seguito. Si intitola Il palombaro lungo: ritroviamo Edi, la protagonista, ma si tratta di una storia incentrata su tre donne che appartengono a tre momenti storici ben precisi: il Settecento, gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale e il momento attuale; tuttavia quando si tratta di Borgo, il paese toscano dove ambiento le mie storie, il tempo è imprendibile: in fin dei conti è la somma di tutti gli istanti.

Intervista a cura di Stefania Meneghella

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