Paolo Codazzi torna in libreria con Lo storiografo dei disguidi (Arkadia Editore), una raccolta di racconti che unisce la realtà a una differente visione dell’immagine. L’autore invita infatti il lettore ad una nuova interpretazione di sé e di quello che lo circonda, ambientando le intere vicende nella magica città di Firenze. Con uno stile letterario originale e complesso, le storie dei personaggi si intersecano tra di loro e diventano un’unica storia fatta di emozioni e sensazioni, ricordi ed eventi, gioie e dolori.


Com’è nato il tuo primo approccio alla scrittura? Quando hai compreso che sarebbe stata la tua strada?

Analizzando i miei compiti scritti in classe (circa a 16 anni), un professore di lettere apprezzò le mie composizioni e mi spinse alla lettura di tutta una serie di autori non compresi nei programmi scolastici, dalla cui lettura (vera scuola di scrittura) iniziai a percepire un quadro più ampio della letteratura e uno stimolo a iniziare una serie di esercitazioni soprattutto in poesia e racconti brevi. Poi ebbi una lunga pausa, non di letture, per problematiche di vita connaturate all’età e formai una band rock (io batterista) che mi impegnò molto fino ai 20 anni nei quali, per un gravissimo incidente d’auto, fui allettato per parecchi mesi. Smisi di suonare e nella lunga degenza ripresi a leggere con molta più frequenza e a scrivere versi e racconti. Il mio primo libro di poesia pubblicato, “Il primo viaggio” fu inopinatamente finalista, Opera prima, al Premio Viareggio e vinse molti altri premi minori. Pubblicai altri due libri di poesia del quali “L’inventore del semaforo” vinse o fu finalista in molti importanti premi nazionali. Poi feci una scelta coraggiosa e rischiosa (per come erano stati apprezzati i miei testi poetici), ritenendo che la poesia non fosse più adeguata a rappresentare le mie intuizioni formali e lessicali e mi dedicai esclusivamente alla narrativa pubblicando il mio primo romanzo (rigorosamente a pagamento, Lalli editore) “Come allevare i ragni”, che ottenne molti consensi di critica ma data la scarsa consistenza dell’editore passò quasi inosservato al grosso pubblico. Successivamente ho pubblicato altri romanzi e raccolte di racconti, ottenendo lusinghieri consensi critici, e in particolare per gli ultimi due: ”La farfalla asimmetrica”e ”Il pittore di ex voto” editi da Pironti editore.

Parliamo del tuo ultimo libro ‘Lo storiografo dei disguidi’: come nasce l’idea per questo tuo lavoro e qual è il messaggio principale che vorresti trasmettere?

Come ho accennato sopra scrivo romanzi e racconti e, naturalmente, ho molti abbozzi di romanzi o racconti nel cassetto. Riguardando i racconti già finiti, due anni fa, rilevai che alcuni avevano un filo conduttore che li associava e decisi di consolidare una raccolta scrivendone altri coerenti cercando di ottenere un senso comune che li uniformasse quasi come un romanzo. Il filo conduttore di questi 15 racconti contenuti nello “Storiografo dei disguidi” è principalmente uno strabismo che mi è congenito nell’analizzare la realtà e il tentativo di individuare elementi della stessa che possono sfuggire da un’analisi superficiale, nel tentativo di stimolare il potenziale lettore a non accontentarsi della “evidenze” storiografiche o di cronaca imposte dalle comunicazioni di massa che per loro natura tendono alla velocità della comunicazione che molto spesso, per non dire sempre, sono destinate a rappresentare valori e elementi esterni ai fatti che vengono così plagiati per interessi e vocazioni diverse. Il secondo elemento, che se non fosse un luogo comune definirei retrogusto, è il tentativo di analizzare tutta una sequenza deformante della realtà come se è essa fosse il segnale di un progressivo imbarbarimento della civile convivenza e della decadenza del sistema democratico in cui viviamo. In realtà se si ha voglia e tempo (e desiderio) di leggere le cronache dell’Atene del VI, V sec. a.c. (Tucidide etc.) ci renderemo conto che in quella che unanimemente viene definita la culla e la più alta espressione della democrazia, in realtà accadevano (nelle forme del tempi) gli stessi fenomeni che oggi potrebbero portarci a considerare la nostra realtà come deformante imbarbarimento di una civile convivenza. L’alternativa a tutto questo è il silenzio politico e sociale del quale proprio in questi tragici mesi ci rendiamo conto a cosa possa condurre.

Le varie vicende sono ambientate nella splendida città di Firenze. Che rapporto hai con Firenze e cosa rappresenta per te?

Firenze è la mia città, dove sono nato e vissuto e vivo, e per quanto abbia avuto anche lunghi soggiorni in altre città non credo si possa affermare di conoscere una città se non la si è vissuta a lungo e si è penetrati nella sua anima. Per questo i racconti sono fiorentini ma in realtà le vicende potrebbero essere ambientate in qualsiasi altra città.

Tra le tue pagine, è possibile toccare con mano diversi racconti e diverse storie. Qual è l’elemento principale che collega ciascuna storia ad un’altra?

Come ho scritto sopra, il tentativo di offrire al lettore modi diversi di analizzare la realtà e di leggere la storia.

Il tuo stile letterario è sicuramente molto originale: cosa c’è dietro la costruzione di questo genere? Chi sono stati i tuoi maestri letterari?

Tengo molto all’aspetto formale (lessicale e sintattico) che in qualsiasi impegno artistico non può essere escluso dalla potenza dei contenuti: che devono esserci ma mai prevalere sulla forma. La lingua italiana, come tutte le lingue di derivazione latina, è molto ricca lessicalmente e offre innumerevoli libertà sintattiche che io cerco di sfruttare (anche contro una certa semplificazione dei nostri tempi) impregnando le pagine di segni che dovrebbero (e molti lo riconoscono) accordare musicalmente la scrittura (qualcuno l’ha definita scrittura sinfonica), realizzando un complesso di pagine (che pur non trascurando i contenuti) possano offrire al lettore, generalmente narcotizzato da scritture (magari anche ricche di contenuti) ma che somigliano più ad una informe accozzaglia di telegrammi e non a letteratura. Maestri letterari non ne ho, nel senso di tentativo di emulazione, tuttavia la maggior parte delle mie letture trova soddisfazione nella letteratura Mitteleuropea (Musil, Canetti, Bernhard e altri), e alcuni italiani tra cui citerei sicuramente Giuseppe Berto e Italo Calvino.

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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?

Come un celebre campione di scacchi, conduco una gara (perché di questo si tratta) su più tavoli e appena scatta la consapevolezza di un potenziale scacco matto mi riferisco a quel solo giocatore (romanzo o racconto che sia) nel tentativo di chiuderlo e riuscire poi a pubblicarlo. Posso dire che il mio prossimo romanzo, o quello successivo al prossimo, riguarderà il colpo di Stato dei Colonnelli in Grecia del 1969, e molto altro.

Intervista a cura di Stefania Meneghella

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