MØNØ – il giovane dj e producer – ha accettato di incontrarci, decidendo di parlarci di tutto il suo percorso musicale e di come la fiammella per l’arte l’abbia portato a tuffarsi nelle note e a non abbandonarle mai.


Com’è nato il tuo primo approccio alla musica? Quando hai scoperto che sarebbe stata la tua strada?

Ho scoperto la musica per caso, in prima media, grazie a un docente che propose come alternativa al flauto tradizionale chitarra e pianoforte. Da allora è stato un crescendo continuo, grazie anche ad un grandissimo amico che mi aprì le porte della musica EDM, che in quegli anni era al suo culmine di popolarità. Arrivò sempre in quegli anni il primo controller, che durante le medie mi ha accompagnato in camera e alle feste scolastiche, permettendomi di sviluppare la tecnica su una superficie di controllo molto ridotta. Dalle medie in poi ho continuato a credere in questa passione, ma è solo di recente che ho iniziato ad approcciarla come un sogno da realizzare. Il punto di svolta è arrivato a gennaio 2021, quando di fronte a un test d’ingresso per un ITS da informatico mi sono accorto che dentro di me avevo altre idee dal tradizionale ufficio. Da allora è nato MØNØ.

Dove nasce invece il tuo nome d’arte? Qual è il suo significato e perché hai deciso di utilizzarlo?

Il mio nome d’arte nasce dall’idea di unire un termine tecnico semplice e facile da ricordare con la mia particolarità, ovvero la sordità all’orecchio destro. Nell’audio viene definito “stereo” tutto ciò che è composto da una componente “sinistra” e una “destra”, che insieme restituiscono una percezione spaziale del suono. Un segnale “mono” è invece una tipologia di informazione basata su un solo canale di riproduzione, come ad esempio un microfono. Il termine mi è apparso dunque azzeccato alla mia peculiarità, e da lì il nome del mio progetto come artista.

Ti sei avvicinato al genere house commerciale: com’è nato questo approccio e chi sono stati i tuoi maestri musicali?

Ho sempre nutrito grande ammirazione per i Daft Punk e per deadmau5, sia per l’enorme versatilità musicale di entrambi, che per l’unicità come figure artistiche. Chiaramente l’house commerciale non è decisamente il genere su cui basare le proprie produzioni, infatti la scoperta di questo mondo arrivò con i primi eventi privati, i primi compleanni, dove mano a mano ho avuto modo di sperimentare diversi fronti e scoprire generi differenti, fino ad arrivare a creare la mia selezione, con il mio suono. Dal punto di vista “house commerciale”, i Meduza sono i miei artisti di riferimento, quelli che al meglio rappresentano il sound che ritengo più forte e d’impatto.

Il 25 giugno, ci sarà un tuo dj set a Como: quali sono le tue aspettative in merito a questo evento? Cosa ti aspetti dal pubblico?

Ammetto che definire “DJ-set” quello per la StraWoman ha un’accezione un po’ diversa da quella che normalmente si associa al mondo clubbing. Sarà molto radiofonico, incentrato più su una selezione fruibile da diverse fasce d’età più che sulla tecnica di mixaggio. Il pubblico sarà estremamente eterogeneo, aiuta sicuramente molto il fatto di avere una maggioranza femminile, che permette di restringere parecchio la selezione, che sarà il più “estiva” possibile. Obbiettivo unico: massimo coinvolgimento a basso impegno.

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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?

Ho un inedito già pronto, appartenente a un genere a me molto caro che è la Synthwave, ma ancora sto aspettando per rilasciarlo insieme a un altro progetto inedito dedicato al mondo clubbing (House) ma pur sempre con le mie influenze, così da poter offrire entrambe le versioni di MØNØ, ed esprimere al meglio la mia creatività. Per gli eventi sto lavorando insieme al mio ufficio stampa (@goodguys) e altri collaboratori per avere una stagione invernale che possa essere il più entusiasmante possibile, stay tuned!

Intervista a cura di Stefania Meneghella

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