Cara Ansia, mi sembra così difficile chiamarti con la lettera A… quando penso a te, penso non solo alla prima cosa che mi accade durante la giornata, ma anche all’ultima. Dovrei chiamarti con tutte le lettere, e non dovresti avere un nome preciso.

Ecco, penso proprio che non dovrei chiamarti affatto: dovrei pensarti, come si pensano gli amori prima di sbocciare, come si pensa ai fiori quando arriva la bella stagione. Come si pensa a sé stessi, quando ci si guarda allo specchio e si ritorna dove si è sempre stati.

Tu, parola senza nome, lo sai dove sono stata prima del tuo arrivo?

Lo sai com’era la mia vita prima di te? Ma che dico… ce l’avevo una vita? Ti sto scrivendo per questo: per dimostrarti (ancora una volta) che sei sempre stata tu la migliore.

La più forte, la più potente, quella bella e straordinaria, l’unica.

Allora io? Cosa sono stata io?

Hai avuto il potere di schiacciarmi sin dall’inizio e l’hai fatto con il coltello negli occhi. Mi hai puntato quell’arma al cuore, e mi hai stretta forte: come se fosse una fitta troppo dolorosa da dimenticare. Come se fossi tu… ma senza di me. Come se fossi

Cara Ansia,

ti ho chiamata così perché non sapevo come altro definirti. Tu non sei solo questo, Ansia: sei molto altro. Ti spiegherò com’è fatto il mio mondo, da quando tu sei nella mia vita. Ma che dico: ti spiegherò com’è fatto il mio mondo da sempre.

Dinnanzi a me, riesco a vedere una sola immagine (che ormai mi perseguita ogni giorno): una strada. Io che cammino su quella strada vuota e deserta, cammino lentamente – perché, così, io ho sempre camminato – e cammino anche con il sorriso negli occhi – perché, a ridere davvero, sono bravi tutti, ma quanti sanno farlo nello sguardo? -. Lo faccio senza fermarmi e penso di farcela. Penso davvero di farcela. Ma quanto possono essere vere queste parole, se riesco a dirle al vento e non a me stessa? Dietro di me, compari tu: mi abbracci all’improvviso, e mi fai quasi male. “Ti voglio bene!”, mi dici poi. Io non ti credo. Allora, continui a distruggermi, piano piano e lentamente: come lenta è anche la mia camminata, come lento è il pensiero che rivolgo verso di te. Come lenta diventa la voglia che ho di schiacciarti. Allora chiudo gli occhi: lo faccio senza pensarci, ma pensando costantemente a chi avrei voluto essere.

Mi ritrovo in una stanza: buia e deserta, anch’essa. Dentro tremo, ma fuori sorrido. Si può essere felici solamente fuori? Io lo sono, in quel momento. Lo sono ad occhi chiusi, perché il mondo urla: sono talmente forti, quelle grida che ascolto, che mi sembra che tutto si possa distruggere, improvvisamente. Distruggere dove? Dentro ogni batterio che compone il mio corpo: che tutto si possa distruggere dentro di me.

E’ un dolore che mi porto dentro, e da cui non riesco a fuggire via. E’ questo che sei, Ansia? E’ per questo che sei venuta da me? Sei tu la più forte ed io, pensando a te, mi sento solamente una briciola sotto il tavolo. Tu sei il legno che mi schiaccia e che mi rende polvere: sei quello che avrei voluto essere io, ma lo sei molto meglio. Sei un fantasma nero e scuro che mi entra nelle viscere, e mi fa paura: sempre più paura, sempre più grande, sempre più forte. Sento che mi stai facendo svanire e, questo dolore al petto che non mi fa dormire, arriva fino alla testa e mi tramuta i pensieri. “Chi sono io?”, inizio a pensare. Poi continuo: “Perché non sono te?”.

Cara Ansia, avrei preferito non darti un nome sin dall’inizio. Ti avrei chiamato in un altro modo: ti avrei chiamato ‘Mostro’, ‘Terrore’, ‘Spirito da evitare’. Ti avrei chiamato in qualsiasi altro modo, ma non ‘Ansia’. Sono lettere ancora più spaventose, queste qui, e sono lettere che mi fanno restare ad occhi chiusi e immaginare mondi surreali nei quali tu non esisti.

Avrei voluto. L’avrei voluto davvero. Sarebbe stata una vita bella, la mia. Avrei potuto camminare per le strade, ascoltare i giudizi della gente e ridere delle parole taglienti e che fanno sempre male. Avrei potuto piangere, senza farmi entrare l’acqua nell’anima. Avrei potuto cambiare momenti, vite, persone e non mi sarei portata addosso questo peso che è la tua coscienza. Avrei potuto fare tante cose, senza di te: ridere di gusto, ballare su quel tavolo di legno, realizzare sogni e non pensare alle realtà. Avrei potuto cambiare…

Ma ci sei tu… e ci sono anche io.

E questa nostra unione ci ha trasformati, spesso, in quello che non volevamo essere. Questa nostra unione ci ha fatto vivere in un modo tutto nuovo. In un mondo che non conoscevamo, prima di essere pienamente noi.

Ma cosa fare, adesso, con te nella mia vita? Accettare tutto quello che comporti o mandarti via e diventare, io stessa, un’unica persona?

Cara Ansia, sto camminando lungo quella strada buia e deserta. E tu non ci sei: mi sento libera, e lo sono davvero. Il petto mai compresso, le gambe che non tremano, il mondo va in frantumi ma io sono lì: forte, potente, bella. Sono io, senza di te. E anche tu sei tu, senza di me. Poi apro gli occhi, ed eccoti ancora lì. Stavolta mi sei davanti, e vuoi abbracciarmi: spalanchi le braccia e me lo dici apertamente. “Vieni con me”. Io ti porgo la mano, e iniziamo a camminare. Insieme.

Cara Ansia, non te ne andrai mai ed io mi sento come una piuma posata sul cemento troppo presto. Fragile, diversa, ancora una volta le lacrime mi entrano nell’anima. Ma ci sei tu: cara Ansia, prendimi per mano e lasciami sognare in pace. Portami verso la libertà. Lasciami piangere, vivere, ridere, sognare.

L’ho capito dopo. Subito dopo, ti ho capita. Ho compreso come chiamarti, e l’ho fatto all’improvviso. Cara Ansia, non ti chiamerò più così: ho capito che porti il mio nome, e lo porterai sempre. Ho capito che sei me: cammini anche tu su quella strada buia e deserta, e mi guardi negli occhi: lo fai spesso, perché vuoi schiacciarmi. Quando scorgiamo però il nostro volto allo specchio, ci ritroviamo: ci vediamo per quello che siamo, e non riusciamo più a respirare. Lentamente, i nostri sogni sono uccisi da noi stesse: allora, chi siamo noi? Ci prendiamo per mano e continuiamo a camminare. Sorridiamo negli occhi: tutti sanno ridere davvero, ma quanti sanno farlo nello sguardo?

Ci distruggeremo a vicenda, e uccideremo quella parte di noi che ci farà male: cara Me, tu sei forte. E lo sono anche io. No, non ti chiamerò mai più così: e tu, come mi chiamerai? Guardami negli occhi e fammi sognare ancora. Sempre di più, e sempre più forte. Siamo libere: possiamo esserlo per sempre?

A cura di Stefania Meneghella

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