Barbara Imhof

Abbiamo incontrato Barbara Imhof, architetto spaziale, ricercatrice di design e professoressa presso l’institute of Experimental Architecture at the University of Innsbruck (Austria). Lei è cofondatrice e CEO di LIQUIFER Systems Group, un team interdisciplinare composto da scienziati naturali, da ingegneri e da designer. Barbara Imhof è considerata anche una pioniera nel campo dell’architettura spaziale in Europa. È inoltre membro della AIAA Space Architecture Technical Committee (SATC).

LIQUIFER, fondato nel 2004, comprende quindi un team multidisciplinare in grado di progettare sistemi spaziali e ingegneristici per l’ESA e per l’industria spaziale europea. Il gruppo è infatti composto da esperti che provengono da diversi campi disciplinari, come ad esempio l’architettura, il disegno industriale, l’ingegneria, la biomimesi, le scienze dei materiali e la stampa 3D.

Nell’immagine di copertina possiamo vedere da sinistra a destra: René Waclavicek, Barbara Imhof e Waltraut Hoheneder. Questi ultimi sono i soci amministratori e comproprietari di LIQUIFER Vienna – Bremen.


Sulla Terra l’architettura ha una storia di 4.000/5.000 anni. Gli attuali architetti possono quindi ispirarsi al passato e alla natura terrestre. Nello Spazio l’architettura non è mai esistita e i paesaggi naturali sono prevalentemente costituiti da deserti e da montagne. Come nasce allora l’ispirazione per un progetto di architettura spaziale? Come riesci a creare un’armonia tra l’idea architettonica e il paesaggio naturale della Luna o di Marte? Uno degli obiettivi principali degli architetti è infatti quello di creare una connessione tra l’architettura e la natura.

Nell’architettura spaziale, l’ispirazione primaria nasce dalle esigenze di necessità e di funzionalità. Il tutto viene poi modellato seguendo gli ambienti estremi dello Spazio. A differenza della Terra, dove esistono millenni di storia architettonica e ricchi ambienti naturali, l’architettura spaziale inizia con una tela quasi bianca. I paesaggi della Luna e di Marte sono aspri, privi di atmosfera e caratterizzati da variazioni estreme di temperatura e da potenti radiazioni. I nostri progetti sono, quindi, guidati da queste sfide ambientali e dal desiderio di unire il comfort e l’estetica negli ambienti estremi.

Fondere i progetti con il paesaggio naturale della Luna o di Marte implica l’utilizzo di materiali locali e l’adattamento alle condizioni proibitive del luogo. Ad esempio, stiamo pensando di utilizzare la regolite lunare o il suolo marziano come materiali da costruzione. Bisogna inoltre ricordare che il concetto di utilizzo delle risorse in situ è vitale su questi mondi. Per questo motivo, cerchiamo di utilizzare il più possibile materiali locali, soprattutto per ridurre la necessità di trasportare materiali dalla Terra. Le formazioni naturali, come i tubi di lava, possono inoltre offrire una buona protezione dalle radiazioni e dagli impatti dei meteoriti. L’obiettivo principale dei nostri progetti è quindi quello di lavorare con questi particolari paesaggi, utilizzando le risorse che il pianeta o la Luna ci mette a disposizione.

credit: LIQUIFER
Project RegoLight – solar sintering of lunar habitats on the moon, EU-Horizon 2020. Credit: LIQUIFER

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Quali sono le difficoltà più importanti che incontri quando progetti un habitat spaziale? Hai un team di scienziati e di ingegneri aerospaziali che ti aiuta?

La progettazione di habitat spaziali presenta numerose sfide che vanno oltre l’atmosfera terrestre. Tra queste sfide c’è la necessità di adattarsi alle condizioni estreme e insolite dello Spazio esterno, compresi lo spazio limitato, le poche risorse e l’esposizione alle radiazioni cosmiche. Garantire l’integrazione di sistemi di supporto vitale efficaci è fondamentale, poiché comprende aspetti quali il mantenimento di un’adeguata qualità dell’aria, della temperatura e della gestione dei rifiuti. Gli habitat devono inoltre funzionare in un ambiente chiuso e sigillato, che è solitamente chiamato “functioning technical biosphere”.

La collaborazione interdisciplinare è essenziale per affrontare le complessità legate alla progettazione di un habitat spaziale. Tuttavia, il ruolo dell’architetto non è di primo piano in questo settore, poiché in un ambiente così estremo hanno la priorità altre discipline. L’obiettivo dell’architetto è quindi quello di aiutare gli ingegneri e gli scienziati ad affrontare le innumerevoli sfide scientifiche e ingegneristiche. La progettazione di habitat abitabili in microgravità, sulla Luna o su Marte richiede perciò un notevole lavoro di squadra multidisciplinare. La competenza e l’esperienza di ogni singolo esperto sono ovviamente essenziali, in particolar modo per quanto concerne la scienza dei materiali e i sistemi di supporto vitale. Per questo motivo, lavoriamo spesso a stretto contatto con un team di esperti in vari campi, affinché ogni aspetto della vita nello Spazio sia meticolosamente pianificato ed eseguito.

L’architettura spaziale si basa anche su conoscenze provenienti da molti altri campi, come ad esempio la progettazione dei sistemi spaziali, la fisiologia, la psicologia e le strategie di sostenibilità. Per avere successo nel campo dell’architettura spaziale bisogna quindi possedere una formazione aggiuntiva, che può essere acquisita attraverso corsi legati al settore spaziale.

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Self-deployable Habitat for Extreme Environments SHEE as part of the project MOONWALK mission tests in Rio Tinto, Spain, 2016, EU-FP7. Photo: Bruno Stubenrauch

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La vita nello Spazio è completamente diversa da quella sulla Terra: gli astronauti sono ad esempio costretti a vivere in uno spazio ristretto. Come fanno allora gli architetti spaziali a trasformare questi piccolissimi spazi in un habitat confortevole?

Durante la progettazione degli spazi abitativi gli architetti devono indubbiamente affrontare degli ostacoli enormi, dovuti soprattutto all’assenza di gravità e agli ambienti ridotti dei veicoli spaziali. Le nostre sfide più importanti sono quindi rappresentate dall’adattamento allo spazio limitato e dalla mitigazione degli effetti fisiologici. Questi ultimi, a causa della diversa gravità, alterano ovviamente il benessere umano. Per superare queste difficoltà, gli architetti spaziali impiegano varie strategie, una delle quali è l’ergonomia. Si tratta di una disciplina che consente di ottimizzare lo spazio disponibile e di creare aree multifunzionali e adattabili.

Gli architetti prendono in considerazione anche i fattori psicologici, per migliorare il benessere mentale degli astronauti durante le missioni spaziali prolungate. Per questo motivo, cerchiamo di inserire le aree per la privacy, per l’esercizio fisico e per il relax. E non solo: nei nostri progetti c’è anche l’illuminazione circadiana, grazie alla quale è possibile imitare il ciclo giorno-notte presente naturalmente sulla Terra. Gli habitat spaziali sono inoltre costituiti da numerose piante, che possono essere coltivate all’interno di apposite serre. Gli esseri umani hanno infatti bisogno di consumare cibo fresco e di coltivare piante, in particolar modo per il benessere psico-fisico. Un altro fattore molto importante è il colore dell’illuminazione: il comfort e la sensazione di reclusione possono essere mitigati inserendo dei specifici colori.

Dr. Barbara Imhof Interview. Credit: SCI-Arc Channel

I progetti integrano ovviamente una serie di materiali avanzati e di tecnologie per il supporto vitale, che contribuiscono alla creazione dei confortevoli spazi abitativi dell’habitat spaziale. L’approccio interdisciplinare, che coinvolge architetti, ingegneri e scienziati, è quindi essenziale per affrontare le sfide legate alla progettazione di ambienti oltre la Terra.

Quando progettiamo ambienti da collocare in microgravità abbiamo, ad esempio, l’opportunità di riscrivere alcune norme architettoniche tradizionali. Vivere in questi luoghi significa muoversi costantemente, ed è per questo che cerchiamo di stabilizzare i corpi degli astronauti, affinché possano svolgere i loro compiti con facilità e rapidità. In altre parole, la nostra mente deve immaginare uno spazio tridimensionale, in cui è possibile accedere da ogni angolo del volume. Non dobbiamo quindi essere vincolati dagli assi X e Y del piano orizzontale. Nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS) i concetti tradizionali di “pavimento”, “parete” e “soffitto” non si applicano, poiché gli astronauti vivono in microgravità. Tuttavia, questo aspetto tridimensionale ci permette di essere ancora più creativi e di massimizzare maggiormente lo spazio. Il nostro obiettivo è quindi quello di creare spazi trasformabili, cioè che possano essere utilizzati per vari scopi.

Come sei diventata un architetto spaziale? Che consigli daresti ai giovani sognatori che vorrebbero avvicinarsi al mondo dell’architettura?

Per coloro che sono interessati all’architettura spaziale è fondamentale una solida base in architettura, inclusa un’ampia conoscenza della progettazione dei sistemi spaziali, della fisiologia, della psicologia e delle strategie di sostenibilità. E’ inoltre consigliabile seguire dei corsi inerenti al settore spaziale e iniziare a lavorare direttamente sul campo. Tutto questo è essenziale per il successo. Per quanto riguarda la progettazione, questa deve necessariamente abbracciare metodi che preservino le risorse, come ad esempio il riutilizzo, il riciclaggio e i sistemi in grado di utilizzare risorse in situ. Bisogna inoltre ricordare che l’architettura spaziale è intrinsecamente interdisciplinare, ed è per questo che gli architetti devono essere pronti al costante apprendimento e all’adattabilità.

www.spacearchitect.org

  • Cover image: from left to right: René Waclavicek, Barbara Imhof, Waltraut Hoheneder, photo credit: Natascha Unkart / Studio Koekart

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