Fran BagenalFran Bagenal - kosmomagazine.it

Abbiamo incontrato Fran Bagenal, professoressa di astrofisica e ricercatrice scientifica presso il Laboratory for Atmospheric and Space Physics dell’Università del Colorado, Stati Uniti. Bagenal ha fatto parte dei team scientifici di numerose missioni spaziali della NASA, come ad esempio la missione Voyager (oggi le due sonde Voyager sono uscite dal Sistema Solare e, per la prima volta nella storia terrestre, stanno volando per prime nello Spazio interstellare), poi ha partecipato anche alla missione Galileo su Giove, alla missione Deep Space 1 sulla cometa Borrelly, alla missione New Horizons, che è stata la prima a sorvolare e a fotografare da vicino Plutone, e alla missione Juno nell’orbita di Giove.


Come è nata la tua passione per l’Universo, soprattutto per i pianeti?

Sono cresciuta in Inghilterra guardando i documentari scientifici della BBC. Guardavo gli scienziati mentre esploravano gli oceani e le montagne, per scoprire come si è formata originariamente la crosta terrestre. Poi ho ammirato il programma Apollo della NASA, il quale ha portato i primi astronauti sulla Luna. E’ stato così bello vederli girovagare, sollevare la polvere lunare, compiere misurazioni e raccogliere sassi. Nel mio ultimo anno di scuola ho avuto la fortuna di ascoltare un discorso di Carl Sagan personalmente, e gli ho stretto anche la mano! Lui quel giorno ha parlato della missione Mariner 9 su Marte. E’ stato così impressionante vedere la sua sincerità, mentre raccontava le scoperte della missione e la geologia di Marte. Ma, al contempo, ha anche parlato di tutto ciò che non era ancora stato studiato, e delle ulteriori misurazioni da compiere.

Quando sono andata all’università ho studiato fisica e geofisica, pensando di poter intraprendere una carriera nell’industria petrolifera (cosa stavo pensando!). Al diploma ero indecisa sul da farsi. Pensavo di trascorrere un anno negli Stati Uniti studiando una serie di argomenti, per trovare un problema su cui lavorare. Sono andata al MIT e ho imparato la geofisica della Terra e dei pianeti. Un giorno ero a una riunione di scienziate, e una ricercatrice senior mi ha detto di chiamare il Center for Space Research del MIT, perché stavano per lanciare uno strumento su Giove. Era lo strumento per la scienza del plasma installato sulla Voyager. In effetti, sono stata accolta nel gruppo e pagata per completare un dottorato di ricerca, facendo le cose più eccitanti: analizzare i dati del plasma e del campo magnetico durante i sorvoli di Giove. Poi, nel successivo decennio mi sono occupata di Saturno, Urano e Nettuno!

Sei co-investigatrice della missione New Horizons della NASA, che per la prima volta ha visto da vicino il piccolo pianeta Plutone. Quali emozioni hai provato quando hai visto Plutone per la prima volta? Un pianeta che non era mai stato visto da vicino, e voi siete stati i primi esseri umani a scoprirlo.

Dopo il sorvolo di Nettuno (1989) compiuto da Voyager, ci siamo tutti chiesti: cosa succederà? C’è vita dopo Voyager?! Stavo iniziando a fare la professoressa all’Università del Colorado, e un giovane scienziato è venuto da me per promuovere una missione su Plutone. Ho pensato: “Plutone?! Questo è solo un piccolo pianeta insignificante senza campo magnetico. Perché dovrei volerci andare?”. Bene, Alan Stern mi ha convinta a consigliare alla NASA una missione su Plutone. E 17 anni dopo il sogno si è realizzato, vedendo partire la missione New Horizons. Poi ci sono voluti altri 9 anni di attesa, perché per raggiungere Plutone ci vogliono 9 anni di viaggio. Ma ne è valsa la pena aspettare. È stato spettacolare: sono semplicemente saltata in aria per l’eccitazione!

Quali sono le caratteristiche di Plutone che ti hanno sorpreso di più? Te lo aspettavi così?

Ad essere onesta, mi aspettavo un blocco di ghiaccio piuttosto noioso, con un mucchio di crateri da impatto. E invece abbiamo trovato ghiacciai fluenti con ghiaccio d’azoto, montagne di ghiaccio d’acqua, valli, colline, superfici irregolari e alcuni crateri da impatto (chissà cosa sta succedendo in quel posto!). Forse l’immagine più drammatica è questa immagine che ti mostro, la quale è stata scattata mentre New Horizons stava lasciando Plutone. Mostra i ghiacciai e le montagne, nonché gli strati di foschia nell’atmosfera. Ora sembra un pianeta!

Un’immagine in bianco e nero di Plutone vista dalla sonda New Horizons della NASA. Plutone dista 6-12 miliardi di km dalla Terra. Credits: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute
L’avvicinamento a Plutone e il fly-by compiuto dalla sonda New Horizons della NASA.
Credits: NASA/JHUAPL/SwRI

Hai partecipato a molte missioni della NASA e, attraverso le sonde Voyager, Galileo, Deep Space 1, New Horizons e Juno, hai potuto viaggiare nel nostro sistema solare. Quali sono le scoperte più importanti che hai fatto con gli strumenti di queste missioni?

La mia ricerca si concentra sui campi magnetici dei pianeti. Alcune delle mie più grandi sorprese sono state i campi magnetici di Urano e Nettuno. Pur agendo come una calamita, simile a quelle che potresti usare per attaccare note al tuo frigorifero, Voyager ha scoperto che questi campi magnetici di Urano e Nettuno sono molto inclinati e irregolari. Quindi, mentre ruotano, formano un vorticoso groviglio di campi magnetici, che interagiscono con il campo magnetico del Sole.

Un’altra scoperta di Voyager è che la luna di Giove, chiamata Io, è ricoperta di vulcani. L’interno roccioso è riscaldato dalle forze di marea, a causa delle lune vicine e di Giove, che tirano e comprimono la crosta. La lava fuoriesce sulla superficie e i gas fuoriescono dalle bocche vulcaniche. L’atmosfera puzzolente (composta da anidride solforosa) sfugge alla luna, si frammenta e si ionizza. Gli ioni carichi di ossigeno e zolfo – con un numero uguale di elettroni – rimangono intrappolati nel campo magnetico di Giove e ruotano attorno al pianeta con un periodo di rotazione di 10 ore. Questi gas caricati elettricamente formano una ciambella di plasma, che irradia luce ultravioletta e si diffonde lentamente per riempire la vasta regione intorno a Giove, la quale è controllata dal campo magnetico del pianeta: la magnetosfera. La sonda Galileo ha trascorso 34 orbite ad esplorare questa regione, scoprendo che la luna Ganimede ha un proprio campo magnetico, e che Europa ha uno spesso oceano d’acqua sotto una crosta ghiacciata.

La sonda della NASA Juno, invece, è in orbita attorno a Giove dal 2016, e sta studiando i poli e l’interno del pianeta gigante gassoso. Il prossimo anno ci aspettiamo dei sorvoli ravvicinati di Io: chissà cosa troverà Juno questa volta?!

A sinistra: immagine di Io scattata da Galileo, in cui i punti neri sono una lava vulcanica, le macchie bianche invece sono anidride solforosa vulcanica e il colore arancione è lo zolfo. A destra: immagine di Io scattata da Juno in luce infrarossa. I punti luminosi ci mostrano la lava calda.
Credits: NASA/JPL/University of Arizona (foto a sinistra); NASA/JPL-Caltech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM/Roman Tkachenko (foto a destra)

Cosa ti hanno insegnato queste missioni spaziali nella tua vita? E che consiglio daresti ai futuri scienziati che sognano di studiare l’Universo?

Dopo aver passato molti anni di lavoro con gli scienziati, penso di aver imparato che vale la pena essere una persona amichevole e allegra. Potresti essere il Fisico più brillante, ma se sei antipatico, le persone non vogliono collaborare con te.

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Adoro visitare le scuole per parlare dell’ultima esplorazione dello Spazio, per esortare i bambini delle scuole a esplorare e fare domande. E, soprattutto, persistere con i loro compiti di matematica e scienze. Forse finirai per costruire un frigorifero migliore. O forse costruirai un robot per esplorare Marte. Quindi, mentre avanzi nella tua carriera, la perseveranza è la chiave. In particolare, prenditi del tempo ogni giorno per riflettere a fondo e, dopo aver messo da parte i dispositivi elettronici, cerca di rimanere concentrato nella decifrazione di dati, nella codifica di modelli, nella lettura di documenti di ricerca o nella scrittura delle tue scoperte.

  • Cover image credit: Pamela Davis (foto al centro)

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