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Cinzia Nazzareno


I tempi sono emisferi distanti, posti nello spazio di un universo fatto di dimensioni e realtà.  I tempi sono tanti, e ognuno di sfaccettature differenti. 

A volte caldi, a volte freddi, a volte tristi, a volte allegri. 

Ognuno di questi, nella meravigliosa età in cui ci troviamo, costituisce un Tempo.

Il Tempo in cui siamo nati e in cui, cresciuti gradualmente, siamo diventate persone. 

Ma i tempi sono emisferi distanti, le cui estremità si trovano legate da piccoli fili di ferro. Sottili, indistruttibili.

Passato, presente, futuro.

Sarebbe bello poter descrivere il Tempo! Sarebbe bello guardarlo da lontano ed averlo lì, in una parte del cosmo, a fissarti leggiadro. Sarebbe bello descrivere il Tempo a parole!

Eppure, c’è chi ha avuto la capacità di farlo.

L’ha fatto con uno stile personale e, perché no, nuovo. Utilizzando parole diverse, ha unito parole con fili di ferro e ha saltato tra un Tempo e l’altro, quasi viaggiando.

Sto ovviamente parlando di Cinzia Nazzareno, mia ospite di oggi e autrice del romanzo “Lo scarabocchio” (Bonfirraro Editore). Un titolo che lascia perplessi, ma che conserva un significato profondo e riflessivo, come ci spiegherà nelle successive righe.

Il libro di Cinzia è una ventata di aria fresca, una famiglia che nasce, un dolore che cresce, la scoperta di un mondo nuovo, e di un’era nuova. E’ un insieme di vicende che si intrecciano come alberi, e di foglie che sorgono dopo aver combattuto con i propri rami.

Lo stile è semplice, mai banale, efficace al punto giusto. Resta impresso nella memoria, come restano le vicende raccontate dall’autrice sui tanti personaggi appartenenti a una famiglia bigotta, a volte un po’ strana, a volte simile a ciascuno di noi.

E’ così che la storia ci proietta negli anni ’70, in una terra Siciliana bigotta e retrograda, facendoci specchiare nei loro problemi.

Un libro che parla di Tempo, ma in un modo implicito, pur non annunciandolo mai. Per questo, il libro di Cinzia è come uno scarabocchio dell’anima: si vede, si avverte, e ci si domanda: “Cos’ha di speciale?“. Io la mia risposta già che l’ho, ora tocca a voi.

Lascio la parola a Cinzia Nazzareno, con l’augurio di proseguire in questo meraviglioso percorso. 

cinzia nazzareno

 


D: Come nasce l’idea per “Lo scarabocchio”? Da dove hai attinto ispirazione?
R: L’idea per Lo Scarabocchio nasce dal bisogno impellente di raccontare storie, vere o verosimili, realmente accadute o semplicemente romanzate, con lo scopo precipuo di sensibilizzare e far riflettere tutti, uomini, donne, uomini e donne “in erba”, e portarli in una dimensione, il più possibile lontana dai pregiudizi ovvero dalle catene che costringono l’uomo alla schiavitù e al dolore, essendone vittima in un modo o nell’altro. Ho tratto ispirazione per la realizzazione del mio romanzo dalle tante storie sentite qua e là sulla diversità sessuale e sugli infiniti pregiudizi che ruotano attorno ad essa.

D: Perché hai scelto il paesino di Olmo come ambientazione della storia?
R: Olmo è un luogo letterario, frutto della mia immaginazione ma che comunque ho deciso di collocare in Sicilia, forse proprio perché la Sicilia, terra di straordinaria bellezza, storia e ricchezza architettonica ma anche di contraddizioni, bene si presta a certe ambientazioni ma anche perché essendo siciliana conosco mentalità e stili vita dei suoi abitanti.

D: Le vicende si frammentano nel tempo, viaggiando tra presente e passato. Che legame intercorre tra queste due dimensioni nelle pagine del tuo libro?
R: Il romanzo ha una struttura a cornice, è quello che si può definire un racconto nel racconto dove è possibile intrecciare il passato- che urla forte e prepotente e non ha mai smesso di esistere-  e un presente che si pone domande che trovano risposta in una dimensione temporale trascorsa ma ancora viva e pregnante. Nel mio romanzo il presente si piega al passato e il passato smette di esistere solo nel momento in cui depone in favore di una possibile apertura mentale verso ciò che non dovrebbe essere considerato tabù, ma realtà che vive lontana dagli stereotipi o pregiudizi tout court.

D: C’è un personaggio al quale sei particolarmente legata? Perché? 
R: Il romanzo è ricco di personaggi, tutti ben delineati e ognuno di loro lascia una traccia indelebile nella memoria del lettore. Nella fase creativa dell’opera ho immaginato come veri i personaggi principali e non; chiaramente ho amato Gianni/ Genny- come si fa a non amare una creatura così sfortunata ma di grande bellezza interiore?- Mila, Filippo, con tutte le contraddizioni e limiti e poi la “birbante” di nonna Camilla. Chi non vorrebbe una nonna così straordinariamente in gamba? E poi tutti gli altri a seguire.

D: La tua può essere definita una saga familiare. C’è un motivo che ti ha indotto a scegliere questo genere?
R: Quando mi accingevo a scrivere il romanzo ho trovato infinite difficoltà nel costruire la storia. L’incipit l’avrò scritto credo tre volte. Non volevo che il romanzo fosse quello che si definisce di genere, sarebbe stato riduttivo e non era ciò che desideravo, volevo che avesse un più ampio respiro; così ho pensato di parlare di un dolore che coinvolge un’intera famiglia e più generazioni.

D: Come definiresti il profilo psicologico del protagonista, Genny?
R: Gianni/ Genny è un personaggio bellissimo sebbene sfortunato. E’ un candido, un puro come pochi al mondo. Onesto, pulito, è in linea con i suoi principi e le sue idee che non baratta con niente e nessuno ed è disposto a morire per ciò in cui crede.

D: Tra i temi del tuo libro, c’è senz’altro la diversità in una società bigotta e retrograda degli anni ’70.  Come pensi che la società sia cambiata nell’era odierna? 
R: Voglio essere ottimista e credere nei cambiamenti sociali verso un mondo migliore e positivo, ancorché la società odierna sia sormontata da pregiudizi e limiti mentali. Ho fiducia nei giovani, in loro risiede il cambiamento e se guidati da bravi maestri di vita e giusti modelli di riferimento si può sperare in un mondo più pacifico e tollerante.

D: “Lo scarabocchio”: spiegaci il significato di questo titolo.
R: Il titolo spesso è il primo incipit del romanzo. In generale lo scarabocchio è un disegno mal riuscito, un’opera venuta male. Per la società ma anche per suo padre e poi per l’uomo che diceva di amarla, Genny era solo uno schizzo umano, né carne né pesce, un signor nessuno. Il titolo vuole provocatoriamente evidenziare la diversità di genere come un errore, uno scherzo della natura, mentre in realtà ciascuno di noi è un’opera unica, autentica e originale di cui andare fieri.

 

D: Cosa speri di trasmettere al lettore attraverso le tue pagine?
R: Spero di trasmettere emozioni, sentimenti e riflessioni e se poi le pagine dei miei romanzi possono pure cambiare la vita dei lettori, traendo l’insegnamento che nessuno deve reputarsi superiore a nessun altro e che tutti meritiamo un posto al sole, beh, sarebbe il massimo.

D: Quali sono i tuoi futuri progetti in merito alla promozione del tuo libro?
R: “Lo Scarabocchio” è un romanzo che si presta bene per una fiction. Spero un giorno non lontano di trovare qualcuno che possa credere in questo mio desiderio e possa trasformarlo in realtà. E’ velleitario come progetto? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto molto più realisticamente organizzo presentazioni, partecipo ad inviti, lo faccio conoscere tramite interviste e recensioni e poi… sarà quel che sarà. Grazie per l’attenzione e per le magnifiche domande che mi sono state rivolte. Ad maiora! Ad maiora semper!


Recensione e intervista a cura di Stefania Meneghella

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