La luce è la protagonista indiscussa del nuovo album di Charlie Risso. Si chiama ‘The Light‘, appunto, proprio per trasmettere – a chiunque la ascolti – il concetto stesso di luminosità e anche di infinito. L’artista è tornata sulla scena musicale con un progetto tutto nuovo, e con cui intende trasformarsi nota dopo nota. Ce ne ha parlato in questa intervista, raccontandoci anche il suo significato di sogno e tutti i suoi futuri progetti.


Com’è nato il tuo primo approccio alla musica? Quando hai scoperto che sarebbe stata la tua strada?

Ho sempre cantato fin da bambina. In casa si ascoltava tanta musica e si cantava spesso. Con mia madre mi divertivo a fare le armonie. A mio padre piaceva il folk americano in particolare e passava le ore a spiegarmi i testi delle canzoni in inglese. Mia madre proviene da una famiglia di musicisti, suo zio infatti era il pianista jazzista milanese Tito Fontana che ho avuto il piacere di re incontrare da “adulta” durante il mio percorso di studi milanesi. Ho cominciato da giovanissima a scrivere le prime canzoni con il mio oggetto preferito dell’epoca, un magnifico stereo Cfs – W303 rosso fuoco doppia cassetta della Sony che conservo ancora e certamente da qualche parte in soffitta dovrebbero esserci i miei primi demo in cassetta appunto.

Parliamo del tuo nuovo EP The Light: dove nasce l’idea per questo progetto?

Il progetto nasce da una lettura interessante che mi ha ispirata. Il libro si intitola “La vita dopo la morte” di Yogi Ramacharaka. Il libro descrive l’aldilà come una presunta esistenza in cui la parte essenziale dell’entità di un individuo ed il suo flusso di coscienza continua a vivere dopo la morte del suo corpo fisico. Ho trovato che, oltre all’aspetto extra sensoriale del libro, il concetto ben rappresentasse la mia personale evoluzione e sperimentazione artistica certamente valorizzata dallo splendido lavoro di Federico Dragogna che mi ha saputo condurre verso una direzione più nordico/elettronico e shoegaze.

Mi ha colpito molto la tua voce e il tuo stile, che rievocano una dimensione quasi surreale: ascoltando le tue canzoni, sembra di essere in un sogno. Era questa la tua iniziale intenzione? Cosa provi mentre canti?

Ti ringrazio molto per il complimento. Direi che l’intero processo è estremamente spontaneo e naturale. La modalità di scrittura rievoca sicuramente contesti onirici, mi figuro letteralmente dei piccoli cortometraggi quando scrivo e con gli anni sono riuscita ad individuare la modalità di canto che più mi confacesse. La mia comfort zone.

Come ti sei approcciata invece a questo genere? Chi sono stati i tuoi maestri musicali?

Negli anni ho ascoltato davvero di tutto dalla musica rock, a quella punk, brit pop alla musica folk americana e ai grandi maestri come Bob Dylan e Joni Mitchell. L’evoluzione musicale negli anni mi ha portato poi ad apprezzare band come i Portishead, i Radiohead. Adoro le sonorità stoner rock di Mark Lanegan e band come i Mazzy star, i Chromatics e i Beach House e sono infatuata dalle sonorità celtiche.

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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?

Sono al lavoro su un nuovo disco che vede la partecipazione di un artista australiano che stimo molto Mr Hugo Race, chitarrista dei Bad Seeds.

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