Abbiamo incontrato Subhajit Sarkar, Astrofisico e Docente presso la Cardiff University (Galles, Regno Unito). Lui è coinvolto in molte missioni spaziali, alcune delle quali sono Ariel dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea), EXCITE della NASA e il telescopio spaziale James Webb di NASA/ESA/CSA. Il suo obiettivo è studiare le atmosfere degli esopianeti e i processi planetari dei sub-nettuniani e dei giganti gassosi.
Subhajit Sarkar è inoltre uno degli autori di una ricerca pubblicata su ApJ Letters, la quale parla dell’esopianeta K2-18b che orbita nella zona abitabile attorno alla stella K2-18, distante circa 120 anni luce dalla Terra (1 anno luce corrisponde a circa 9.461 miliardi di km). Per la precisione, il potentissimo telescopio spaziale James Webb ha individuato il metano e l’anidride carbonica nell’atmosfera di questo esopianeta. Per leggere l’articolo ufficiale della ricerca clicca QUI.
Come siete riusciti ad identificare il metano e l’anidride carbonica nell’atmosfera di K2-18b? L’atmosfera dell’esopianeta è composta da idrogeno, metano e anidride carbonica?
Nel mese di giugno e di gennaio di quest’anno, attraverso il telescopio spaziale James Webb, abbiamo osservato la stella madre chiamata K2-18, che è una nana rossa situata nella costellazione del Leone. Chiaramente, durante l’osservazione non possiamo vedere direttamente il pianeta, quindi per individuarlo utilizziamo una tecnica indiretta chiamata “transit spectroscopy” per estrarre lo spettro del pianeta. In modo particolare, la luce della stella viene suddivisa in molte lunghezze d’onda (come se fosse un arcobaleno), dopodiché monitoriamo la luminosità di ciascuna lunghezza d’onda nel tempo mentre il pianeta attraversa il disco della stella. Inoltre, siccome il pianeta è circondato da un anello di atmosfera, quando avviene l’attraversamento il pianeta e la sua atmosfera bloccano una piccola frazione della luce della stella. Pertanto, la frazione di luce bloccata varierà leggermente a ciascuna lunghezza d’onda. Perciò, misurando questa variazione possiamo tracciare efficacemente lo spettro delle molecole presenti nella sua atmosfera.
Una volta ottenuto lo spettro atmosferico, abbiamo utilizzato un computer per generare molti possibili modelli atmosferici con spettri modello, che in seguito abbiamo confrontato con lo spettro osservato. Fondamentalmente, abbiamo trovato lo spettro del modello più adatto e osservato quali molecole sono state coinvolte nella produzione di quel modello. Questo lavoro ci ha permesso di sapere che molto probabilmente il metano e l’anidride carbonica sono presenti nell’atmosfera del pianeta K2-18b.
Inoltre, i pianeti come K2-18b sono chiamati “sub-nettuniani” perché hanno dimensioni comprese tra la Terra e Nettuno. Nel nostro Sistema Solare, ad esempio, non ci sono pianeti del genere. Pertanto, un pianeta con tali densità deve avere sicuramente un’atmosfera ricca di idrogeno. Quindi, pensiamo che K2-18b abbia un’atmosfera dominata dall’idrogeno, in cui il metano e l’anidride carbonica costituiscono ciascuno circa l’1% dell’atmosfera.
Perché la presenza di solfuro di dimetile (DMS) vi fa pensare che la vita possa esistere? Il DMS potrebbe essere la prova dell’esistenza di un oceano?
Ci sarebbe un rilevamento di DMS nello spettro, ma abbiamo bisogno di più osservazioni per verificarlo. Tuttavia, sulla Terra il DMS è prodotto quasi esclusivamente dalla vita microbica (fitoplancton e batteri), quindi sul nostro pianeta è considerato un gas biofirma. Se il DMS fosse effettivamente confermato su K2-18b, dovremmo comunque assicurarci che non ci siano spiegazioni non biologiche plausibili prima di stappare lo champagne.
Ad ogni modo, pensiamo che K2-18b possa avere uno strato oceanico, ma ciò non dipende dalla presenza del DMS. Solitamente questi mondi sono chiamati “pianeti Hycean“. Pertanto, deduciamo che abbia queste caratteristiche osservando il modello dei gas ottenuto: CO2, metano e, soprattutto, assenza di ammoniaca. Inoltre, dei precedenti studi teorici sulla chimica dell’atmosfera prevedevano che i pianeti sub-nettuniani, con un simile modello, potessero avere un oceano di acqua liquida sotto un’atmosfera ricca di idrogeno.
È vero che la missione Ariel dell’ESA studierà circa 1000 esopianeti? Perché è così importante studiare le atmosfere degli esopianeti?
Si. L’obiettivo è studiare circa 1000 esopianeti di varie tipologie e ottenere gli spettri delle atmosfere. Questa missione condurrà la più grande indagine sulle atmosfere degli esopianeti mai effettuata. In realtà, sappiamo ancora poco sulla formazione dei pianeti e sul tipo di atmosfera che avranno alla fine. Infatti, studiare le atmosfere serve a conoscere i segreti dei pianeti, in particolar modo le loro caratteristiche e cosa contengono. Naturalmente, analizzare un cospicuo campione di pianeti è fondamentale, poiché ci aiuterebbe a conoscere una serie di modelli che ci farebbero comprendere il funzionamento delle atmosfere e il modo in cui si formano i diversi tipi di pianeti. In definitiva, stiamo cercando una “teoria del tutto per i pianeti”, che possa prevedere come saranno in futuro i pianeti e i sistemi planetari studiando le condizioni iniziali della loro formazione. La missione Ariel dell’ESA farà avanzare proprio questa ricerca.
Cosa ami di più del tuo lavoro? Che emozioni provi quando studi pianeti molto distanti che potrebbero ospitare la vita?
Sono molto fortunato perché continuo a seguire la mia passione e, al contempo, a lavorare sugli esopianeti. Inoltre, per una persona appassionata di Spazio come me, è bello avere la possibilità di guadagnare facendo ricerca e insegnando all’Università nel settore spaziale. Tuttavia, mi piace il fatto che gli esopianeti e la ricerca della vita nell’Universo catturino l’immaginazione del pubblico e, allo stesso tempo, generi ispirazione e interesse verso la scienza e l’astronomia. Inoltre, è bello poter condividere tutto questo con altri colleghi che hanno le tue stesse passioni e la volontà di far progredire la conoscenza.
Talvolta, quando guardo il cielo notturno cerco di immaginare quale stella abbia un pianeta con la vita. Nonostante sia un mistero allettante, spero che nei prossimi decenni si possa finalmente scoprire per la prima volta la vita fuori dalla Terra. Quando accadrà cambierà il modo in cui gli esseri umani vedono l’Universo e se stessi. Inoltre, guardando l’oscurità potremmo puntare il dito verso una stella e dire: “non siamo soli“.
- Cover image: Subhajit Sarkar (central photo: bbc.com); side photo: Amanda Smith (first image) / NASA GSFC/CIL/Adriana Manrique Gutierrez (second image)