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“Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza”
Salmi 23:4

Questa è la storia di Margherita Mion, primogenita di mamma Anna, papà Marco e dei loro altri tre figli Chiara, Donato ed Elia. Quando una famiglia è unita, il dolore di ciascuno viene spartito e condiviso; quando una famiglia nasce e cammina sotto il segno dell’amore, la sofferenza diviene motivo di profonda riflessione e può persino trasformarsi in opportunità di aiuto.  Il 14 luglio del 2017 Margherita, un fiore delicato, è sfiorito in terra a soli 18 anni per un sarcoma che l’ha colpita al femore – un tumore raro ed aggressivo che attacca i tessuti connettivi. Nel periodo di esordio della malattia, Margherita aveva deciso di “voler dar sfogo sulla carta e non sulle persone”, alle sue emozioni, affidando i suoi sentimenti alle pagine di un diario che tratteggia i lineamenti di una ragazza luminosa, piena di vita e molto amata, come si coglie da una sua espressione di gioia riportata nell’ultimo periodo della malattia durata nove mesi. Ascoltiamo con grande tenerezza questo scambio di parole tra due anime che sono l’una dentro il cuore dell’altra, tratto dal libro “Margherita… c’è ancora vita”:

Margherita: “Insomma papà siamo una famiglia fantastica!! Io vi voglio tanto bene, siete i genitori migliori del mondo e questo mi fa sentire felice…”
Papà Marco: Le ho sorriso e me la sono abbracciata, le ho detto che anch’io le volevo molto bene e che se lei era felice allora io ero felice di avere una figlia come lei: sarebbe morta dopo pochi giorni lasciandomi felicemente nella mia disperazione… non potrò più abbracciarla, ma so che era una figlia felice… quello che ogni genitore vorrebbe per un figlio…
Scrive ancora il padre: “Ci siamo aiutati tanto tra di noi, ci siamo voluti bene, abbiamo pensato e agito come una squadra-famiglia, ci siamo amati tanto, come riuscivamo, anche nel dolore”.

Questo è il vero ritratto di una Famiglia, un’immagine reale di cosa dovrebbe unire le persone specialmente quando si entra nella sfera privata della sofferenza, luogo sacro e inviolabile e perciò, ancora più difficile da penetrare e comprendere. Lascio ora la parola al padre di Margherita che ricostruirà insieme a noi il percorso umano di questa splendida ragazza che era “forte come un uragano e delicata come un fiore”:

 

 

D: Carissimo Marco, cosa le ha insegnato sua figlia Margherita?

R: Margherita mi ha insegnato che la vita è bella per quello che è, e va vissuta serenamente, trasformandola e amandola con semplicità e innocenza soprattutto nelle difficili battaglie che a volte ti capitano. Sembra che le persone si preoccupino di vivere solamente quando sanno che stanno per morire, dimenticando che la nostra vita terrena si accorcia un po’ ogni giorno e che il segno o ricordo che possiamo lasciare del nostro passaggio non è per forza quantificabile con gli anni che trascorriamo vivendo ma, anzitutto, con la quantità di Amore che abbiamo messo in circolo.

D: Cosa è cambiato nella sua prospettiva di vita dopo la morte di Margherita?

R: Il giorno che è morta mia figlia – era in coma dalla notte precedente – noi ci siamo radunati attorno a lei, le mancava davvero poco per dirci addio, ma sentivamo che non avevamo ancora finito di salutarci. Così, ci siamo organizzati, abbiamo preso un foglio per ciascuno, disegnato i nostri saluti con vari colori e le abbiamo scritto a modo nostro: “Ti voglio bene Margherita”. In seguito, abbiamo posto i nostri biglietti vicino al suo letto e poco dopo, mia moglie mi ha avvertito che Margherita aveva bisogno del mio permesso per andarsene. Così, ho detto a mia figlia: “Ciao amore mio, puoi stare tranquilla vai pure, non ti preoccupare, noi stiamo bene…”. Margherita, all’udire queste parole ha smesso di respirare e se n’è andata. Ho visto come ha affrontato questo difficile passaggio e, sapere che ha potuto ascoltarmi fino all’ultimo respiro, mi riempie di serenità e fiducia. Non ho timore della morte perché credo sia lo scopo più alto della vita soprattutto quando ne hai compreso il significato e ti sei impegnato ad usare bene il tempo che hai avuto a disposizione.

D: Ci può spiegare cosa significa il detto “L’unione fa la forza” all’interno della vostra famiglia?

R: Con la mia Sposa abbiamo frequentato diverse esperienze formative a vari livelli che hanno sempre avuto come punto di riferimento il lavoro di squadra, perché da soli è molto difficile fare qualunque cosa. Abbiamo sempre pensato ad una famiglia numerosa perché ci piaceva l’idea di poterci sostenere e aiutare l’un l’altro, e così in effetti è stato anche nella malattia di Margherita. Quando si fa festa la si fa insieme, ma quando un membro della famiglia si ammala gravemente, tutta la famiglia si ammala con lui e bisogna rimanere uniti; pensando a questo, ci siamo auto-proclamati il “faMion”, venetizzando un po’ il nostro cognome, il cui significato è da intendersi come quello di una grande e potente famiglia che quando è unita è in grado di affrontare qualsiasi situazione. Il faMion è la nostra identità, il nome che portiamo sulla maglietta della nostra squadra!

D: Cosa intendeva dire la sorella Chiara con la frase: “Margherita è sempre in ritardo ma non ha mai perso l’autobus”?

R: La mattina quando era l’ora di uscire di casa per prendere l’autobus per andare a scuola, Chiara era sempre pronta con lo zaino fatto e in ordine, perché a lei piace essere precisa e puntuale; Margherita invece, si alzava all’ultimo minuto, si lavava e si preparava in poco tempo, faceva la colazione al volo e finiva le ultime cose mentre si precipitava di corsa verso la fermata del bus. Nonostante il suo modo apparentemente superficiale di affrontare le giornate, Margherita cercava di trattenere ogni momento della sua vita apprezzandolo e gustandolo fino all’ultimo secondo, lei stava bene nella sua stanza con la musica e le sue cose senza per questo perdere mai nessun appuntamento… nemmeno quello con l’autobus che la portava a scuola.

D: Ci descriva Anna, sua moglie, che “con una mano curava le lesioni cutanee di Margherita causate dalla radioterapia, mentre con l’altra girava la minestra di verdure”:

R: In ogni squadra ci sono persone a cui sono affidati dei ruoli definiti e ognuno di loro ha a sua disposizione dei talenti naturali. La Sposa è riuscita a metterli tutti insieme, diventando un’ottima infermiera quando Margherita aveva bisogno di cambiare una medicazione, di sostituire una flebo o la bombola di ossigeno. Ha azzerato i propri bisogni mettendosi completamente a sua disposizione durante i ricoveri in isolamento nel reparto di oncoematologia. Le ha asciugato le lacrime, le ha dato la spalla su cui piangere e l’ha abbracciata con tutto l’amore che aveva, ridendo con lei ogni volta che ne aveva l’opportunità, pur sapendo che l’avrebbe comunque perduta. Tra una cosa e l’altra, ha preparato colazioni, pranzi e cene, e ogni volta che non era in ospedale con Margherita ha accompagnato gli altri figli a fare sport, andando alle loro partite di volley e agli incontri di judo; ha continuato ad esserci con me per la nostra famiglia, per la nostra vita, nonostante il percorso di fine vita di Margherita ci fosse ormai molto chiaro e si stava velocemente avvicinando a noi ogni giorno di più.

D: Quanto sono stati importanti gli aiuti esterni di amici o parenti per alleggerire il carico posto sopra le vostre spalle?

R: Dicono che i veri amici si contano sulle dita di una mano. Per noi è stato diverso, poiché abbiamo avuto davvero tanti amici che ci hanno sostenuto durante tutto il percorso: hanno fatto rete tra di loro e si sono organizzati in maniera tempestiva con aiuti semplici ma molto efficaci. Ad esempio, ogni 15 giorni arrivavano delle somme di denaro direttamente sul nostro conto corrente che noi usavamo per affrontare le varie spese, per gestire al meglio gli imprevisti o alcune esigenze immediate che si potevano presentare; inoltre, facevano la spesa per noi e portavano a casa nostra del cibo fatto in casa. Una nostra amica ci faceva trovare la torta al cioccolato tutte le settimane davanti alla soglia di casa.
Noi ci siamo sentiti compresi. A volte non servono grandi parole da usare in certi momenti, servono grandi esempi di semplice quotidianità che è proprio ciò che ti viene a mancare quando si affronta una battaglia contro un male cosi difficile da combattere.

D: Avete dedicato un libro in ricordo di vostra figlia Margherita: da dove nasce l’idea di fondare un’associazione che porta il suo nome?

R: Scrivere non è il mio mestiere, tuttavia, sentivo la necessità di fissare nella nostra memoria quello che ci era successo affinché non fosse dimenticato o distorto nel tempo: scrivere questo libro è stato un modo straordinario per essere consapevoli di tutto il bello che era stato fatto in questa situazione così drammatica. Abbiamo ricevuto tanto amore e tanta solidarietà e in molti hanno voluto leggere la nostra storia partecipando anche con delle donazioni spontanee. Fondare l’associazione Margherita C’è Ancora Vita è stata una strategia che ci ha permesso di aiutare altre famiglie che affrontano un percorso simile al nostro e, allo stesso tempo, dare ancora l’opportunità a Margherita di vivere e viaggiare con le persone che la incontrano e la conoscono attraverso il libro o in quello che facciamo per gli altri.

D: “Trasformare il dolore in opportunità di aiuto”, davvero si può?

R: Noi lo stiamo facendo. Il dolore non passa, nessuno può rimuovere questo fardello dalle tue spalle, impari a conviverci ogni giorno utilizzandolo come carburante per alimentare l’Amore: più Amore immetti nella tua vita, più il dolore si attenua. Aiutare altre famiglie divenendo noi stessi quegli aiuti che abbiamo ricevuto dai nostri amici, è il nostro modo di trasformare il dolore in aiuto, in ristoro.

D: Cosa può consigliare alle persone che stanno attraversando una situazione simile alla vostra?

R: E’ difficile dare consigli, non esiste un manuale d’istruzioni che possa spiegare che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Per noi è stato importante avere fiducia nei medici e seguire le indicazioni che ci hanno dato. Pensiamo che sia utile avere un piano strategico per affrontare le situazioni di tutti i giorni: scuola, sport, catechismo, spesa, bollette… è altrettanto importante individuare tra gli amici o i parenti qualcuno che possa occuparsi di queste cose dando indicazioni precise e delegando tutto ciò che è possibile. Inoltre, crediamo che mantenere la casa luminosa, colorata, con dei fiori freschi sul tavolo e tinteggiare le stanze sia una buona idea; è importante circondarsi di luce, di belle persone, di ordine e concedersi tutto il tempo possibile per volersi bene e per dirselo. “Ti voglio bene” è la prima medicina da prendere al mattino e comunque in ogni momento della giornata a bisogno, magari insieme ad un sincero abbraccio.
D:Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore,nella salute e nella malattia…”: quanto sono vere per Marco ed Anna queste promesse oggi?

R: Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, siamo curiosi di vedere come va a finire e quindi, che scelta possiamo fare se non quella di continuare a volerci bene e far vedere a tutti chi sono quelli del faMion?

 

Ringrazio di cuore Marco Mion, padre di Margherita, per averci permesso di entrare a piccoli passi nella storia personale della sua famiglia, regalandoci questa toccante intervista.

Intervista realizzata da Martina Castellarin

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