Credits: NASA GSFC/CIL/Adriana Manrique Gutierrez (a sinistra); NASA/STScI (a destra)

L’allineamento del telescopio spaziale James Webb della NASA è completato. L’osservatorio è in grado di catturare immagini nitide e ben focalizzate con ciascuno dei suoi quattro potenti strumenti scientifici di bordo.

Dopo aver completato la settima e ultima fase dell’allineamento del telescopio, il team ha dichiarato che Webb terminerà i preparativi per la messa in servizio degli strumenti scientifici tra poche settimane.

Le prestazioni ottiche del telescopio sono migliori del previsto. Gli specchi di Webb stanno ora dirigendo la luce raccolta dallo Spazio verso tutti gli strumenti, i quali stanno catturando con successo le immagini. La qualità dell’immagine è limitata solo dalla diffrazione, ciò significa che la finezza dei dettagli è la migliore fisicamente possibile, date le dimensioni del telescopio.

“Con il completamento dell’allineamento del telescopio e la fatica di mezza vita, il mio ruolo nella missione del telescopio spaziale James Webb è giunto al termine. Queste immagini hanno cambiato profondamente il modo in cui vedo l’Universo. Siamo circondati da una sinfonia della creazione; ci sono galassie ovunque! La mia speranza è che tutti nel mondo possano vederle” (Scott Acton della Ball Aerospace)

Nel suo primo anno di attività il James Webb si concentrerà anche su due esopianeti caldi e rocciosi, classificati come “Super-Terre”: l’esopianeta “55 Cancri e” ricoperto di lava e  l’esopianeta “LHS 3844 b”.

Il pianeta “55 Cancri e” orbita a meno di 2,4 milioni di chilometri dalla sua Stella (simile al Sole), completa il proprio anno stellare in soli 18 ore e, a causa dell’elevata temperatura superficiale, le rocce si scioglierebbero e le nuvole farebbero piovere lava.

L’esopianeta “55 Cancri e” potrebbe avere un’atmosfera densa, ricca di ossigeno o azoto. Il team utilizzerà la NIRCam (Near-Infrared Camera) e il Mid-Infrared Instrument (MIRI) del telescopio James Webb, per catturare lo spettro di emissione termica del lato diurno del pianeta. Se “55 Cancri e” possiede un’atmosfera, Webb ha la sensibilità per rilevarla e determinare di cosa è fatta.

Illustrazione che confronta gli esopianeti rocciosi “LHS 3844 b” e “55 Cancri e” con la Terra e Nettuno.
Credits: ILLUSTRATION: NASA, ESA, CSA, Dani Player (STScI)

Il secondo esopianeta “LHS 3844 b” orbita estremamente vicino alla propria Stella, completando un anno stellare in soli 11 ore. Tuttavia, non è abbastanza caldo da sciogliere le rocce, poiché la sua Stella è relativamente piccola e fredda. Inoltre, le osservazioni compiute dal precedente telescopio Spitzer, indicano che è molto improbabile che il pianeta abbia un’atmosfera sostanziale.

Sebbene non saremo in grado di osservare direttamente la superficie di “LHS 3844 b” con il James Webb, la mancanza di un’atmosfera oscurante consentirà di studiare la superficie con la spettroscopia. Queste osservazioni ci aiuteranno a capire come potrebbe essersi formata la nostra Terra e, soprattutto, come nascono e si evolvono i pianeti nell’Universo.

“Si scopre che diversi tipi di roccia hanno spettri diversi. Puoi vedere con i tuoi occhi che il granito è di colore più chiaro del basalto. Ci sono differenze simili nella luce infrarossa emessa dalle rocce”.
Laura Kreidberg del Max Planck Institute for Astronomy

LEGGI ANCHE –> INTERVISTA: Gli esperti del Telescopio James Webb rispondono alle nostre domande

LA GRANDE NUBE DI MAGELLANO VISTA DAL JAMES WEBB

Recentemente, il team di Webb ha deciso di sbirciare l’Universo attraverso uno degli strumenti più freddi del telescopio: il “Mid-Infrared Instrument” (MIRI).

Lo strumento MIRI è stato puntato verso la Grande Nube di Magellano. Quest’ultima è una piccola galassia satellite della Via Lattea (la nostra galassia), fotografata anche dal telescopio spaziale a infrarossi “Spitzer” (in attività dal 2003 al 2020).

Gli scienziati hanno colto l’occasione per testare le potenzialità del James Webb, confrontando l’immagine del nuovissimo telescopio (a 7,7 micron), con l’immagine scattata in precedenza dal telescopio Spitzer (a 8,0 micron). Il risultato è sorprendente: il telescopio spaziale James Webb ha una nitidezza sbalorditiva!

Possiamo ammirare, dettagliatamente, anche il gas interstellare (molecole di carbonio e idrogeno). Quando Webb sarà pronto per la scienza (in estate), sarà in grado di fornire nuove intuizioni agli astronomi, per quanto riguarda la nascita delle Stelle e la formazione dei sistemi protoplanetari.

In alto possiamo vedere la foto della Grande Nube di Magellano scattata dal telescopio Spitzer; in basso possiamo vedere la Grande Nube di Magellano scattata dal telescopio James Webb.
Credits: NASA/JPL-Caltech (in alto), NASA/ESA/CSA/STScI (in basso)

Per approfondire le prossime fasi che avvicineranno il telescopio James Webb alla “messa in servizio”, rendendolo pronto per la scienza, clicca QUI.

PERCHE’ WEBB E’ UN TELESCOPIO AGLI INFRAROSSI?

Webb è il primo telescopio capace di osservare le primissime galassie, e forse anche alcune delle prime Stelle nate dopo la creazione dell’Universo che conosciamo (dopo il Big Bang).

Per capire l’importanza e la necessità dell’osservazione agli infrarossi, dobbiamo ricordarci che la famosa “espansione dell’Universo”, cominciata dopo il Big Bang, non espande solo lo Spazio, allontanando fra loro Stelle e Galassie, ma espande, o meglio, “stira” anche la luce. Quest’ultima, col passare dei miliardi di anni di viaggio, inizia a subire gli effetti dell’espansione, e quindi viene talmente “stirata” e allungata, da non essere più visibile ai nostri occhi o dai telescopi ottici classici.

La luce visibile ai nostri occhi è formata da onde corte e strette. La luce agli infrarossi è invece formata da onde più lunghe; perciò, per osservare fino a 13,5 miliardi di anni luce, occorre un telescopio che capti queste onde allungate, cioè un telescopio agli infrarossi.

Queste onde hanno viaggiato per 13,5 miliardi di anni per arrivare fino a noi, e nel frattempo hanno subito gli effetti dell’espansione dell’Universo; questo vuol dire che sono partite come luce visibile, cioè con onde corte e strette, ma strada facendo si sono allungate, diventando luce infrarossa.

L’Universo conosciuto è nato 14 miliardi di anni fa, con il Big Bang. Con il telescopio Webb potremo quindi vedere la luce proveniente da 13,5 miliardi di anni fa, cioè poco dopo l’inizio di tutto. Con gli attuali telescopi ottici classici, invece, riusciamo a vedere la luce proveniente da 13,2 miliardi di anni fa; ciò vuol dire che con Webb ci spingeremo oltre, molto più vicino alla Genesi.

LEGGI ANCHE –> Nel 2026 la DARPA testerà il primo motore nucleare nello Spazio

L’ottica del James Webb. Credit: NASA’s Goddard Spaceflight Center

COSA STUDIERA’ WEBB?

Il “James Webb Space Telescope”, oltre a studiare le prime galassie e le prime Stelle nate nell’Universo, poco dopo il Big Bang, studierà anche le atmosfere degli esopianeti (i pianeti che ruotano attorno alle altre Stelle), per captare le molecole e gli elementi presenti, e capire così se vi è la possibilità di vita su altri mondi, o se ci fosse un pianeta abitabile. Webb si concentrerà anche sugli asteroidicometepianeti del nostro sistema solare e sulla famosa “Fascia di Kuiper” (situata dopo il pianeta Nettuno, e costituita da migliaia di asteroidi). Qualora vi fosse la possibilità, potrebbe anche scovare qualche buco nero.

LEGGI ANCHE –> Psyche partirà ad agosto: visiterà un nucleo metallico

Il telescopio James Webb è stato realizzato grazie alla collaborazione della NASA, dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e della CSA (Agenzia Spaziale Canadese). Esso è il telescopio spaziale più grande e più potente della storia, formato da 18 specchi esagonali, i quali, una volta aperti e allineati formano un unico grande specchio di 6,5 metri di diametro.

Una curiosità: i 18 specchi esagonali sono realizzati in berillio, con uno strato sottilissimo di oro (l’oro è ottimo per la riflessione della luce agli infrarossi). Ma quanto è sottile lo strato di oro? Appena 1.000 angstroms (100 nanometri); in altre parole, appena 700 atomi, cioè 1000 volte più sottile di un capello umano.

Articolo a cura di Fabio Meneghella

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *