Malamore, intervista all’attrice Antonella Carone: “Non possiamo più credere che le relazioni si facciano con il possesso”. Il racconto inedito

L’8 maggio uscirà nelle sale cinematografiche il film Malamore con la regia di Francesca Schirru. Abbiamo incontrato una delle protagoniste Antonella Carone.

Classe 1988 e di origini pugliesi, l’attrice ha studiato presso l’Accademia Silvio d’Amico e ha raggiunto la popolarità grazie ai film con i Me contro Te, in cui ha interpretato il ruolo di Perfidia. Passione, energia e voglia di accettare ogni sfida: sono questi gli elementi che l’hanno sempre contraddistinta.

Una vita all’insegna della recitazione, ma dove nasce tutto questo? Qual è stato il momento esatto in cui hai capito di voler fare l’attrice?

Non c’è stato un momento esatto, ma è stato uno scivolamento verso la professione. Ho iniziato a fare teatro grazie a un corso fatto alle scuole medie, e lì mi sono accorta che mi piaceva stare sul palco. Trovavo profondamente vitale l’idea di dar vita a tanti personaggi, forse perché la vita di provincia mi stava un po’ stretta già da piccola. Dopo questo laboratorio, si era creato un gruppetto di ragazzini che si sono appassionati grazie a questa esperienza. Abbiamo quindi continuato a fare teatro in modo quasi casereccio, perché tra di noi abbiamo iniziato in modo spontaneo a fare una piccola compagnia teatrale. Al liceo, grazie a una professoressa, mi sono appassionata anche al cinema. Dopo il diploma, ho così provato ad andare a Roma per cercare di fare questo lavoro. Lì ho iniziato a farmi strada nella “giungla artistica”, dov’è molto difficile costruire un network. Tutto il resto è venuto da sé.

Il vero successo è arrivato con i film dei Me contro Te, in cui hai interpretato il ruolo di Perfidia. Per te è stata una sfida iniziare la carriera con un prodotto destinato ai bambini?

Sì, l’ho presa come una sfida. Quella esperienza è stata una sorpresa per tutti, nessuno immaginava che avrebbe avuto quel successo. Io non mi aspettavo che ci sarebbero stati altri sei film, e nemmeno che quel personaggio sarebbe diventato così nazional popolare. In realtà io prendo come una sfida tutti i ruoli che interpreto, perché bisogna capire il personaggio che si sta interpretando. Fare un film per bambini rappresentava quasi un unicum, un’esperienza che – nella sua unicità – mi rendeva fiera di farne parte. L’altra sfida è stata interpretare una cattiva che non sia così spaventosa per i bambini, esaltando i toni della commedia, ma anche lavorare in over acting.

Non solo cinema, anche teatro. Di recente c’è stata la tournée di 88 Frequenze, che ha raccontato la storia di Hedy Lamarr. Com’è stato immedesimarsi in questo personaggio? Secondo te cosa ci insegna la storia di questa donna?

Ci insegna a “strapparci gli angoli della bocca e a dire, fino alla fine, tutto quello che ci compone”. Questa storia insegna che è troppo facile – e comodo – far chiudere le persone dentro le categorie, e assegnare ad ognuno di noi le etichette. Anche il mondo dell’arte tende a catalogare gli artisti, e questo porta a un sacrificare tutta la molteplicità che siamo. Tutto questo non ci fa stare bene. Noi siamo tante cose. Hedy Lamarr non fu all’epoca creduto per la sua invenzione geniale, perché era un’attrice bellissima e faceva film mostrando il corpo, e quindi non poteva essere per loro una mente pensante. Noi dobbiamo dobbiamo ancora oggi dimostrare le nostre capacità, dobbiamo quasi performare le nostre capacità, quando questa cosa deve avvenire normalmente. La storia è piena di invenzioni che sono avvenute ad opera di donne e che i meriti sono stati presi dagli uomini. Mi piace pensare che questo discorso vada oltre la questione di genere, perché mi rendo conto che oggi questa questione vale per tutti, uomo o donna che sia. Ognuno di noi si è sentito – almeno una volta nella vita – privato del riconoscimento della complessità che è, perché è facile incasellare le tipologie umane in qualcosa che faccia meno paura oppure perché oggi, con l’epoca dei social, siamo tutti personal brand e dobbiamo quindi essere uguali a noi stessi, riconoscibili, sempre performanti.

Presto sarai al cinema con il film Malamore, in uscita nelle sale l’8 maggio. Quali sono le vostre aspettative?

Il botteghino è il fenomeno più misterioso; ogni film rappresenta un grande punto interrogativo. Mi auguro che certi messaggi arrivino a chi devono arrivare. Al di là del contesto criminale, Malamore resta un film sulle relazioni disfunzionali. Spero che lasci un piccolo messaggio, perché non possiamo più credere e pensare che le relazioni si facciano con il possesso, con la manipolazione, che le donne possano essere ancora soggiogate.

Intervista Antonella Carone – kosmomagazine.it

Questa è la tragedia che vive Carmela, pur essendo un personaggio che fa parte del mondo criminale. A sua volta, è carnefice ma anche vittima, che è la complessità della vita. La figura tragica di Carmela si esprime in questo, nel fatto di essere una donna con un’ambizione, che viene però smontata nel momento in cui viene obbligata a restare nel suo ruolo di donna, cioè quello di fare figli. Al momento esistono anche dinamiche tossiche e disfunzionali in ogni contesto, anche in quelli più borghesi. Mi aspetto che al pubblico arrivi questo messaggio.

Quanto ti ha lasciato questo ruolo?

Tantissimo, come ogni ruolo. Mi ha dato la possibilità di lavorare su sentimenti ed emozioni molto particolari, come il tema della maternità. Lavorare su questi desideri così intimi e così forti è stato bello.

Futuri progetti?

Continuerò a fare teatro, perché nella prossima stagione saranno distribuiti altri spettacoli. Prossimamente uscirà un altro film – Carmen è partita – con Rai Cinema e con la regia di Domenico Fortunato.

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Stefania Meneghella