Freddo Fuoco Bruciato

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E’ il tempo che scandisce il bisogno di raccontarsi; è il tempo che dà spazio ad ogni emozione, ad ogni vissuto, ad ogni amore volato via e ad ogni amore ritrovato.
E’ sempre il tempo a scaturire l’essenza di ciò che siamo.

marisa-pezzella-kosmomagazinePerciò.. oggi vi parlerò di un romanzo che non resta nelle pagine scritte, che non resta in semplici parole che attraversano lo sguardo per giungere all’anima. Oggi vi parlerò di un romanzo che, come radici di un albero cresciuto nel nostro giardino, si ramifica nelle nostre vite, nelle memorie che spesso non sappiamo gestire e nei ricordi.
Il suo titolo è “Freddo Fuoco Bruciato”, scritto dalla giovane Marisa Pezzella (Gilgamesh Edizioni).
Freddo.
Fuoco.
Bruciato.
Tre parole distanti tra di loro, che apparentemente non si appartengono, quasi non si conoscono; eppure…
..Eppure queste tre parole hanno racchiuso quella storia che mi ha preso per mano e, come una fedele amica, mi è stata accanto, dandomi la sensazione di toccarle, quelle pagine, e farle diventare mie. Sembrava quasi di averli accanto, i personaggi, con le loro paure, con le loro avventure, con gli amori e le speranze, con le lacrime.

La scrittura è di uno stile semplice, efficace, profondo, così sensibile che tocca le corde del cuore, dell’anima, di tutto ciò che conserviamo al di là della pelle; ciò che si evince particolarmente è infatti la completa empatia dell’autrice con ognuno dei personaggi, come se fossero stati da sempre dentro di lei, come se li avesse sempre conosciuti. Un’empatia concretizzata in un’attentissima, quasi trasparente, loro analisi psicologica ed emotiva, che viene trasmessa al lettore in un modo originale ed esemplare, dandogli l’impressione di essere anche lui nella loro vita, di essergli amico e di poter, in qualsiasi momento, diventare un loro punto di riferimento.
Una storia inizialmente divisa in due: due vite, due corpi, due anime, due persone apparentemente lontane ma inconsapevolmente vicine. Una storia che si scandisce nel tempo trasformato e adattato alle nostre esistenze.

Ciò che resta in maniera nitida e così viva dentro di noi è inoltre quella descrizione, filosofica e sognatrice, del “Paradiso”, visto come un luogo che c’è, un luogo che esiste. Davvero. Una descrizione accompagnata dalla visione della morte leggera, delicata, fatta di anime che ritornano come piume e ci tengono in vita; una visione che ci dà una sensazione di benessere e di speranza, per chi è volato via in un cielo che a noi sembra così distante ma che, tra quelle pagine, è proprio accanto a noi.
Visibile è anche la genialità dell’autrice, che ha saputo cogliere ogni sfumatura dell’emozione, della sofferenza, dell’amore, dell’orgoglio, della nostalgia, tutte sensazioni che fanno da cornice alla storia, inserendo indirettamente nozioni psicologiche e tratti della personalità di ognuno di noi, e portando il lettore in una seconda dimensione, con cui evadere dalla realtà.
E’ un romanzo che definirei un grande puzzle, fatto di piccole e minuscole parti sparse e distanti tra di loro, che hanno la capacità di assemblarsi e ritornare nel proprio destino proprio grazie ai personaggi che, assieme al lettore, cercano di concludere la storia in modo rigenerante.

Chiudendo l’ultima pagina, ho provato due sensazioni: la nostalgia (perché non li avrei più rivisti, quei personaggi) e benessere (perché li avevo in qualche modo incontrati, ci eravamo stretti la mano e sarebbero stati sempre dentro di me).
Una storia diversa nella sua originalità, una storia che trasporta in mondi secondari, una storia da leggere quando si è tristi, ma anche quando si è felici; una storia che racconta di tutte le sensazioni che una persona possa mai provare.
Una storia scandita nel tempo, e che ancora oggi mi cammina tra le pieghe della mente, fino a giungere nelle pulsazioni del cuore ed entrarmi nel vento dell’anima, come radici di un albero cresciuto nel mio giardino.

Lascio la parola a Marisa Pezzella, ringraziandola di averci deliziato di questo capolavoro e augurandole di scrivere ancora, di tutto ciò che le accade.


D: Cosa ti ha dato l’ispirazione per questo romanzo?
R: L’ispirazione per questo romanzo è arrivata vivendo la mia quotidianità. Scrivere un romanzo molto spesso è come creare un sogno: la mente prende spunto da ciò che percepisce mentre si è svegli, durante la quotidianità quindi, e nell’attimo dell’atto della creazione del sogno, gli stimoli memorizzati vengono guidati e uniti; nel caso della scrittura, dall’ispirazione e dalla ragione. Una voce, una parola, una melodia, un odore, uno sguardo, un’atmosfera, un nome, e una sensazione tattile, per citarne alcuni, sono tutti elementi che uniti permettono di creare una storia, esattamente come è successo con Freddo fuoco bruciato.

D: La leggenda del “Fuoco freddo bruciato” di cui parli spesso è di tua invenzione oppure hai voluto rendere omaggio a una già esistente?
R: La leggenda del “Freddo fuoco bruciato” è di mia invenzione. È nata dopo una riflessione sull’accostamento delle tre parole:
– il fuoco è visto come la parte emotiva della persona;
-il freddo riguarda il puro raziocinio non contaminato dai sentimenti, la cosiddetta “freddezza della ragione”;
-il bruciato è visto sia come uno stato interno che come la conseguenza dell’azione di un conflitto. Lo stato interno della parola “bruciato” riguarda il desiderio ardente e infuocato della motivazione a ottenere qualcosa; la conseguenza riguarda invece l’effetto di una qualsiasi lotta intrapresa, e cioè un’ovvia scottatura.
Nessuno alla fine di un conflitto può ritrovarsi uguale a prima; dopo aver lottato con ardore e dopo aver ottenuto qualcosa, inevitabilmente ci si ritrova diversi, cambiati, segnati e per certi versi ustionati. Dovrebbe essere chiara quindi ora l’immagine di questa fiamma, così tanto pronta a lottare dopo aver aggregato al suo essere di “fuoco” l’essenza del “freddo”, da arrivare ad ardere a tal punto da bruciare se stessa per sopravvivere. Vi è un superamento di limiti.

“La fiamma di una candela accesa che, a causa delle condizioni ambientali avverse, sembra destinata a spegnersi, ma al posto di lasciarsi morire, decide di rinascere più forte di prima, adattandosi al freddo, contro ogni razionalità.”

In certi momenti per non crollare nell’abisso della difficile gestibilità delle emozioni, bisogna comprendere che tutto ciò di cui si ha bisogno è trovare la forza dentro sé stessi, tenendo conto anche della freddezza della ragione, per rielaborare gli eventi, e ritrovarsi. Ovviamente è verosimile anche l’opposto. L’obiettivo è di adattarsi alla nuova situazione destabilizzante, tenendo in considerazione ogni aspetto di sé, modificandosi per adattarsi, cambiando la percezione della realtà con la cognizione, per non spegnersi in un fuoco prettamente emotivo, istintivo e pericoloso.

D: Definisci il profilo psicologico di Eva, Riccardo e Dylan. Cosa li accomuna e cosa li differenzia?
R: Eva: Nella parte iniziale del romanzo è una giovane studentessa di diciassette anni, e mostra la sua incapacità a creare da sola uno spazio nella sua vita e nei suoi pensieri, lontano dalle opprimenti figure genitoriali, soffre inoltre l’abbandono di quello che credeva esser stato suo padre. Agli occhi esterni appare a volte immatura per alcune sue scelte decisionali, e questo accade perché oltre alle particolarità della giovane età, lei tende a perseguire disposizioni che implicano la fuga, piuttosto che la lotta, a causa della sua debolezza, della sua insicurezza, della sua scarsa autostima, e della mancanza di vere figure genitoriali di riferimento. Nelle prime pagine, infatti, è possibile notare alcuni comportamenti: scappa da casa per passare una notte lontano dai suoi genitori, cerca conferme continue dalle sue amiche perché incapace di gestire la propria vita da sé, sceglie inizialmente il silenzio davanti agli abusi o alle violenze. La pessima percezione della sua vita cambia quando s’innamora di Dylan: questo primo amore pare far rinascere in lei la speranza, e torna a sentirsi al sicuro. Per questo motivo, senza rendersene conto, sposta interamente il focus della sua attenzione su questa persona e sulla loro relazione, diventandone in sostanza dipendente, senza comprendere che così facendo, per quanto l’amore la stia facendo sognare, il suo benessere sarà pericolosamente legato all’esclusiva presenza di un’altra persona.
Dylan: nella prima parte del romanzo ha ventidue anni, e lavora come agente immobiliare nell’azienda di sua sorella. Rimasto orfano da bambino, e cresciuto da sua sorella maggiore, è descritto come un ragazzo socievole, ben predisposto alle relazioni sociali, impulsivo e romantico, ma con un segreto che lo porta spesso ad entrare in conflitto con sé stesso.
Con Eva cerca di dimenticare il passato costruendo un nuovo e roseo presente, con l’intento e il bisogno di identificarsi in una nuova vita, senza risolvere né il dilemma interiore, né la situazione riguardante il suo tormento. Focalizza la sua attenzione esclusivamente sulla vita della sua fidanzata per non confrontarsi con la propria. Brevemente: il loro amore è mostrato come incantevole, e talvolta stucchevole, nelle pagine si comprende benissimo che stanno vivendo il loro vero primo amore, ma le motivazioni che li spingono inconsciamente a legarsi sono celate, così come sono difficilmente visibili nelle persone nel mondo reale. Un bravo lettore potrebbe cogliere i dettagli che riguardano il motivo del loro “perdersi” l’uno nell’altra: lei ha bisogno di sentirsi protetta e al sicuro, poiché non è in grado di costruirsi da sé e i suoi genitori non sono più ormai un punto di riferimento, lui ha bisogno di sentire di avere ancora il controllo sulla sua vita, e la loro relazione romantica è la via di fuga dalla sua sgradevole realtà.
Riccardo: è un giovane investigatore della polizia, e nelle prime pagine ha venticinque anni. La sua narrazione inizia con le sue riflessioni riguardanti il trasferimento d’autorità a Mantova, la sua città d’origine. Prova malessere all’idea di abbandonare Verona e tornare nella sua terra; molteplici motivi lo legano a questo stato d’animo, il più segnante riguarda la morte di sua sorella. Sua sorella Margherita fu rapita e uccisa a otto anni, mentre lui ne aveva sedici, nel giorno in cui lui trascurò la responsabilità di accompagnarla a scuola, lasciandola andare da sola e indifesa. Da Mantova lui scappò due anni dopo l’omicidio per rifugiarsi nell’esercito, e spinto internamente dal suo bisogno di giustizia e dal suo senso di colpa, proseguì la sua carriera per diventare un investigatore della polizia, senza mai più avere contatti con i suoi genitori e Mantova stessa. È molto capace e competente sul lavoro, può vantare per questo motivo un gran quantitativo di casi d’omicidio risolti antecedenti il trasferimento a Mantova. Determinato e motivato, svolge il suo lavoro concentrando la sua vita esclusivamente sulla giustizia. Per quanto sia terribilmente razionale, e incentrato sulla logica della sua mente, comprende con fatica che il “bisogno di giustizia” morboso che attiva durante i suoi casi, sono strettamente legati al bisogno di non sentirsi il colpevole della morte di sua sorella. È molto fine come ragionamento: dedicando la propria vita e attenzione alla giustizia, può mettere in atto quel senso di responsabilità che il giorno del rapimento della sorella non seguì. Si può comprendere facilmente come, quindi, ogni attività o attenzione diversa da quella lavorativa, causa in lui un disagio inconscio, poiché tornerebbe a provare l’angoscia di quell’errore. Prima su tutte in questa difficoltà, è implicata l’attenzione verso le relazioni sociali o amorose, dato che quel giorno lui preferì la sua fidanzata dell’epoca e i suoi amici a sua sorella. Incapace a instaurare relazioni amorose e di innamorarsi, con legami di amicizia di convenienza e spesso esclusivamente lavorativi, slegato da ogni sorta di legame familiare a causa delle vicissitudini passate; è un uomo solo in lotta con se stesso. A Mantova, crollerà nella depressione e tornerà a soffrire d’insonnia, il senso di colpa attanaglierà a tal punto la sua vita, da portarlo a credere di vedere per le strade il fantasma di sua sorella. La sua lotta, contro la sua stessa testa, lo fermenterà al punto da convincerlo che l’unico modo per scagionare la sua anima potrebbe realmente essere trovare i veri colpevoli della morte di sua sorella. Grazie all’aiuto di una sua collega riaprirà il caso.
Cosa li accomuna: tutti e tre sentono di avere dei vuoti interni a causa delle figure genitoriali assenti, e tutti e tre hanno subito una perdita importante nella loro vita.
Cosa li differenzia: hanno tre diversi modi di reagire davanti alle difficoltà. Eva nonostante il suo istinto di fuga, con la mente continua a rincorrere i pensieri che la tormentano, Dylan appare incapace ad affrontare ciò che lo riguarda personalmente, e fugge sia metaforicamente sia letteralmente dai suoi problemi, Riccardo nella sua età adulta invece, tende ad andare incontro alle difficoltà, fino a immergersi totalmente, torturandosi per non mancare alle sue responsabilità. Riccardo prova inoltre difficoltà a iniziare relazioni affettive, a differenza di Eva e Dylan.

D: Che ruolo hanno le parole nella tua vita e nella vita di Eva? Come pensi che esse l’abbiano salvata dalla perdita di se stessa? 

R: “Penso di non essermi mai rinchiusa così tanto nei libri e nei compiti. Al momento, per quanto sia assurdo, i libri sono l’unica cosa in grado di distrarmi.”
“Non vedo l’ora di aprire i miei libri di scuola per far sparire il silenzio. I libri mi hanno salvata.”
“Devo andare in biblioteca. Devo trovare qualche libro da leggere. I libri mi danno la possibilità di uscire da questa vita, vedere nuovi mondi, nuove realtà. Mi danno la possibilità di vedere il mondo con occhi diversi.”

Questi sono i pensieri di Eva riguardanti i libri. È senza dubbio comprensibile l’importanza che hanno i libri nella sua vita, per il suo benessere. Questa sua comprensione arriva con il tempo, durante lo svolgimento della storia. Nei libri trova la distrazione dalla sua realtà, questi le permettono di spegnere i pensieri per rinvenire una situazione di pace. Leggere qualcosa scritto da altri, permette di fuggire dalla propria realtà, per immergersi in qualcosa di nuovo, facendo una sorta di viaggio, e grazie a questo, è possibile osservare il mondo con occhi diversi. Senza dubbio Eva ed io siamo legate da questo bisogno d’immersione nella lettura e nella scrittura. Un occhio attento, dopo aver letto il romanzo, potrebbe affermare che quelle sue parole in realtà appartengono a me. Freddo fuoco bruciato è nato dal mio bisogno di evadere e vedere il mondo con occhi diversi.

D: A quale dei tuoi personaggi ti senti più affine?
R: Nonostante alcune somiglianze emotive e fisiche con Eva, lei non è l’unica ad appartenermi. Riccardo ed io condividiamo la stessa razionalità, e in un periodo della mia vita avevamo anche condiviso la difficoltà a intraprendere con le giuste forze e motivazioni relazioni affettive. Eva e Riccardo mi appartengono entrambi; non tutte le loro sfaccettature sono ovviamente collegabili a me, ma senza dubbio la loro unione astratta potrebbe portare a un risultato molto simile alla mia essenza.

D: Interessante è il tuo dipingere il Paradiso come se fosse una dimensione parallela alla realtà. Come nasce questa idea della “morte” vista come una “seconda possibilità”?
R: Due sono le motivazioni:
-Sogno: da ragazzina la notte della morte di mia nonna, sognai di vederla dalla finestra in compagnia di mio nonno. Lei mi disse: “Non preoccuparti. Sono tornata da mio marito. Sto bene, sono felice.”
-Avvenimento: nel 2008 un’automobile m’investì, e per alcuni giorni dopo l’incidente, continuai a chiedermi se fossi effettivamente ancora viva nel mio mondo, o se fossi finita in un mondo parallelo. Il pensiero volò ovviamente via nel tempo, in poche settimane, quando finalmente tornai alla mia vita quotidiana. Anni dopo scrissi della dimensione parallela, rendendo la morte non una vera e propria “seconda possibilità”, perché effettivamente nel nuovo “mondo” le persone non sono identiche a prima, non hanno più alcun bisogno fisico, come il cibo ad esempio. Questo “nuovo mondo”, in verità è un limbo non eterno, è passeggero, che consente alle persone di terminare la vita che gli era stata violentemente strappata nella vita reale (vittime di omicidio, incidenti stradali, malattie, etc.).

D: Dopo aver terminato l’ultima pagina del libro, qual è stata la prima sensazione che hai provato riguardo la storia che avevi scritto?
R: Ho provato felicità. Dopo un lungo periodo di tortura, ero arrivata alla parola “fine”. Scrivere è sia una lotta contro sé stessi sia un viaggio interiore, e molto spesso il vissuto dei personaggi del libro non è altro che il riflesso dell’anima dello scrittore in quel momento. Terminando il libro ho conquistato la mia libertà.

D: Cosa speri di trasmettere al lettore?
R: Spero di trasmettere delle emozioni piacevoli, e un sapore di novità nelle loro vite: vorrei che per giorni si perdessero in questo mondo di intrighi e lotte, per distrarsi, esattamente come se fossero impegnati in un viaggio.

 


Ringraziamo Marisa Pezzella per la sua collaborazione e per il tempo che ci ha donato, augurandole di scrivere ancora, di tutto ciò che le accade.

 

Recensione e intervista a cura di Stefania Meneghella

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